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HOPE


foto e testo di Max Chianese

Edith amava i gatti, per lei erano un esempio di vita, lo erano sempre stati, da bambina e anche adesso da donna.  Li adorava perché sono esseri liberi, non hanno la fedeltà assoluta dei cani, ma sanno amare a modo loro e lo fanno in modo incondizionato e assoluto.

 

Da quando era morto suo marito non aveva frequentato altri uomini, non per una questione di lutto, di rispetto o di convenzione, era semplicemente il suo sentire.

In molti non avevano creduto a quel suo matrimonio, con un uomo più vecchio di lei di oltre trentacinque anni, ricchissimo e stimato da tutti e lei non era certo il classico trofeo da esibire come fanno molti uomini con ragazze più giovani, tanto più giovani.

Edith aveva una personalità forte e questo si percepiva dopo pochi istanti che la si frequentava.

Lei amava Eric e questo era tutto, nonostante la differenza di età, sentiva che quell’uomo la vedeva per come era, per la bambina che era sempre stata e che continuava ad essere.

L’amore di lui era un qualcosa di puro, di sincero e questo lei lo percepiva come non mai.

Spesso in persone adulte si dice che non siano mai cresciute, viene chiamata “sindrome di Peter Pan” e riguarda sia uomini che donne, ma sarà giusto poi dirlo?

Cosa porta l’età adulta di così prezioso rispetto alla sacralità della infanzia e della giovinezza? Non era poi vero che molte menti illustri avevano dato il meglio di sé in giovanissima età e spesso erano rimaste ingabbiate in quegli anni? Che cosa c’era di male a non crescere, a non voler crescere?

 

Da qualche giorno stava chattando con un uomo, lei era di Philadelphia, lui di Mosca, i due parlavano in inglese, lui lo conosceva molto bene.

Si erano conosciuti in modo molto casuale, avevano visto l’aspetto dell’altro solo accidentalmente, nessuna foto era stata richiesta o mandata e lei sentiva che con quell’uomo poteva esserci un’affinità speciale.

 

I gatti di Edith si chiamavano Esther, Nuvola e Hope, tutti nomi casuali, dati più per il suono che per un significato preciso.

Esther era la più vecchia, aveva dieci anni esatti e un carattere simile al suo, viveva in disparte la maggior parte della giornata e quando le due si incontravano non potevano stare distanti, la mano della donna lisciava il pelo alla gatta e le fusa che ne fuoruscivano erano come un mantra in cui la donna si sentiva avvolta.

La mattina Edith andava a fare colazione in giardino, le veniva preparato una piccola insalata, una omelette al salmone e un caffè, Esther la seguiva sempre, poi iniziava a guardarla mangiare, la fissava in un modo difficile da spiegare, la donna poi andava a sedersi sul dondolo, la gatta la seguiva e le si metteva accanto. Ogni giorno, stesso rituale.

 

L’uomo non si spiegava perché quella donna dimostrava interesse nei suoi confronti, era una donna ricchissima, bella, affascinante, avrebbe potuto avere il suo mondo ai suoi piedi, ma perdeva del tempo parlando con lui, che non era né bello, né ricco, certo aveva degli interessi, ma tutti in fondo ce li hanno…

I due parlavano un po' di tutto e un giorno uscì che lei amava giocare a golf.

Delle immagini di lei mentre giocava erano le uniche che gli aveva inviato.

Erano cinque foto, in una si vedeva lei di spalle con lo sguardo rivolto verso delle colline, in un altro lei che stava per tirare un colpo, in altre due foto si vedevano le mani di lei, erano mani bellissime, aggraziate, affusolate come una pianista e la donna di fatto lo era.

I tasti del suo Steinway le facevano da sempre compagnia, soprattutto nei momenti di tristezza, da quando i suoi genitori l’avevano mandata a studiarlo e da lì non se ne era più liberata.

In quelle due foto delle mani mostrava dello sporco, del nero sulle mani, forse lasciato dalla mazza da golf, ma quasi a sottolineare che la perfezione, il bianco, non esiste senza un po' di nero.

Nella quinta e ultima foto c’era l’immagine di un campo da golf, il cielo era coperto, si intravedeva poco cielo, era tutta una macchia grigia con qualche sprazzo d’azzurro.

Perché gli aveva mandato anche quella foto dove non c’era lei ma soltanto il suo sguardo? Lui pensava che quella fosse la sua foto più intima, il modo in cui le guardava il mondo.

 

Il secondo gatto, Nuvola, viveva nel grande parco, lo aveva chiamato così perché spesso vedeva il gatto guardare in alto, il che è abbastanza insolito per un felino.

Nuvola era un maschio, un giorno era arrivato vicino alla porta della sua villa, appena era apparsa lei, lui le aveva soffiato ed era scappato, questo si era ripetuto per due settimane, intanto lei le riempiva la ciotola, poi un giorno le si avvicinò e iniziò a rotolarsi come un animale da circo, per mostrarle la sua devozione.

 

L’uomo si chiamava Theodor e lavorava come matematico, per lui i numeri erano tutto, aveva scoperto una nuova legge matematica, che si era tramutata in un vitalizio a vita nella ricerca.

Per questo, per la sua ossessione nella logica, non le tornava che lei fosse interessato a lui. I conti non tornavano. Spesso aveva la sensazione di essere vittima di uno scherzo di qualcuno che conosceva. Una volta in un messaggio lei gli aveva detto che avrebbe voluto con lui un sentimento di amicizia per sempre.

Per sempre? Chi usa questi termini oggi? Tutti ne hanno paura, lei sembrava di no. Lui provava un senso di inquietudine in questo, ma anche di gioia.

 

Lealtà, onestà, cortesia, autodisciplina, moralità e rispetto degli altri, questi erano gli elementi fondamentali del golf, per questo lei lo amava e anche la ricerca del colpo perfetto, quella sensazione che aveva provato poche volte nella vita.

Lui non sapeva niente di golf, i due avevano buttato lì che avrebbero giocato insieme quando un giorno si sarebbero visti, ma lui non aveva mai giocato.

E si sarebbero visti tra poche settimane, il momento stava per arrivare.

 

Il terzo gatto era Hope, il cucciolo, il piccolo, appena arrivato, rossiccio, aveva visto un articolo su un social network di Philadelphia dove erano stati visti dei cuccioli abbandonati e aveva deciso di portar loro del cibo.

Hope, che ancora non si chiamava così, era l’unico che era saltato fuori da quella cucciolata di cinque e sembrava non interessato al cibo, nonostante fosse magrissimo.

Era interessato a lei, sapeva che lì c’era la sua casa.

Appena arrivato nella villa della donna il cucciolo aveva iniziato a giocare come un forsennato, giocava, mangiava, beveva e faceva le fusa, bisogni.

Funzioni elementari, tutto ridotto all’osso, dove forse si nasconde la felicità.

Hope le aveva portato una ventata di aria fresca come non succedeva da un po', da quando il marito Eric se n’era andato e con lui le cene a lume di candela e le lunghe serate a vedere film del passato in bianco e nero.

 

Theo, così lo chiamavano gli amici, avrebbe voluto andare a fare qualche lezione di golf, non farsi trovare impreparato da lei, ma sarebbero bastate poche lezioni?

 

Così arrivò il giorno e i due si incontrarono a prendere un caffè.

Dopo le presentazioni i due non parlarono molto, si guardarono.

Ad un certo punto lei disse “Allora quando facciamo questa partita a golf?”

Lui le prese la mano e le rispose “Tra un anno, un anno esatto da oggi se ti va, voglio presentarmi in buona forma per te, non ho voglia di farti perdere del tempo e soprattutto di annoiarti”.

Lei lo guardò, in quel momento capì che la parola “per sempre” aveva un significato ben preciso ed era stata ben spesa nei confronti di quello sconosciuto.

Poi notò che sul dorso della mano l’uomo aveva un piccolo tatuaggio e prima che lei glielo chiedesse lui le spiegò il significato.

“E’ un ideogramma, l’ho fatto in Giappone in un viaggio, si pronuncia Kibò, vuol dire speranza, “Hope” nella tua lingua”.

Lei riprese a guardarlo, poi si alzò per andarsene.

“Tra un anno qui, alla stessa ora, io ci sarò” lei disse.

Se ne andò via, sorridendo negli occhi e sulla pelle e un brivido le attraversò il corpo.

Fece di tutto per non girarsi, ma non ne fu capace.

5 commenti

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5 Comments


Unknown member
Aug 01

Che bel racconto, non banale, né scontato. Una storia d'amore travestita da amicizia. L'appuntamento tra un anno è la.benzina che porta i due a sperare in quell'incontro e allo stesso tempo a goderne dall'attesa, un po' un "sabato del villaggio". Ben scritto anche perché lascia il lettore in una trepidante attesa, tanto profonda quanto enigmatica. Si incontreranno tra un anno? E scrivere un sequel?

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Unknown member
Jul 22

Grazie ancora , molto felice di quello che scrivi!

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Unknown member
Jul 21

Il racconto si distingue per la sua delicatezza e profondità emotiva. La storia tra Edith e Theodor, nonostante la distanza e le differenze, viene presentata con sensibilità, rendendo chi legge, partecipe delle loro emozioni e speranze. La narrazione è avvincente e lascia spazio alla riflessione sui temi della perdita, della solitudine e della possibilità di nuove connessioni umane.


Dopo i pro, i contro. Sebbene ricco di descrizioni dettagliate, a volte risulta prolisso e tende a rallentare il ritmo della narrazione. Inoltre, l'incontro finale tra Edith e Theodor, seppur suggestivo, potrebbe apparire poco realistico per alcuni lettori, dato il rapido sviluppo di una storia profonda basata su conversazioni online. Con un maggiore sviluppo della loro connessione precedente, l'incontro avrebbe potuto rendere…

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Unknown member
Jul 22
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Grazie Stevie non bisogna essere troppo morbidi sulle cose da migliorare, grazie ancora!

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Unknown member
Jul 21

Non ci crederai, ma l’appuntamento con i tuoi scritti per me è ormai un rito domenicale: uno piu bello dell’altro. Sei talmente bravo che trovo imbarazzante continuare a farti dei complimenti: divento ripetitivo, pertanto poco credibile, ma sappi che è solo “colpa” tua.

Un abbraccio

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