L’8 settembre 1960 il popolare ballerino russo Rudolf Nureyev propose al capo dell’Unione Sovietica Leonid Breznev di realizzare un suo grande sogno.
Per lui la danza non era solo una professione, una passione, il desiderio più grande che aveva avuto sin da bambino, il ballo per lui era sinonimo della parola “Felicità”. Stessa cosa.
“Ogni uomo dovrebbe danzare per tutta la vita. Non essere un ballerino, ma danzare”, questa era stata una delle sue dichiarazioni più famose e racchiudeva ciò che il suo spirito sentiva nel più profondo: la musica e un corpo, o più corpi, fusi insieme, formano un tutt’uno che profuma di un nonsoché di divino; mostrare questa meraviglia era il suo compito, in un modo eccezionale come nessun uomo aveva mai fatto prima.
Nureyev voleva fare la più grande lezione di danza all’aperto della storia, nella piazza rossa di Mosca, portando centinaia, forse migliaia, di bambini, tutti insieme e chiese al celebre teatro Bolshoi di organizzare questo evento, ma prima doveva convincere Breznev.
Il buon Leonid, amante delle automobili e dell’arte in generale, iniziò subito a pensare a questa proposta e prese molto seriamente la questione.
Non era ancora il Breznev spavaldo degli ultimi anni, quello capace di baciare sulla bocca il collega tedesco Honecker dando vita ad una delle immagini più iconiche della storia, ma era appena stato nominato segretario generale dell’Unione Sovietica ed era ben consapevole che anche quando sei il capo di un paese devi star attento a tanti equilibri di potere che ti hanno permesso di arrivare fino a lì.
Così convocò diversi esperti per capire come realizzare questo sogno del celebre ballerino.
Su undici persone della commissione che si era formata, sette erano d’accordo e quattro contrari, Breznev fece di tutto per convincere i contrari.
Intanto i mesi passavano, la fine del 1960 era vicina e così si giocò un colpo a sorpresa: chiese a Nureyev di scrivere una lettera dove avrebbe dovuto spiegare il valore che quella lezione avrebbe avuto per tutti quegli allievi e per il mondo intero.
Queste le sue parole:
“La danza è tutta la mia vita, non è solo arte, gioia, tenerezza e splendore, ma l’essenza della vita stessa. Dobbiamo essere i primi al mondo nel fare questa impresa, la più grande lezione di danza del pianeta, nello stesso modo come ci stiamo impegnando per mandare tra qualche mese il compagno Yuri nello spazio profondo.
Le nostre anime sono universi da esplorare, si possono fare chilometri nell’oscurità delle costellazioni più sconosciute, ma anche dentro di noi vivono universi.
E la danza è la coperta che avvolge lo spirito dei nostri sogni.
Un bambino che coltiva l’arte non preserva solo quella parte di sé sacra, ma lotta con ogni goccia del suo sangue per elevare la razza umana da bestia ad esseri illuminati.
Ballare con tutto ciò che siamo, è la manifestazione di una fascinazione spirituale, anzi oserei dire religiosa.
Noi siamo la nazione di nobili scrittori come Pasternak, Cechov, Tolstoj di musicisti eccelsi come Rachmaninov, Stravinskij, Prokofe’v, di pittori come Melvich, Kandinsky, Chagall, la Russia è arte e nessuno metterà mai in dubbio la nostra storia, nessuno potrà mai cancellare o provare a cancellare il valore che abbiamo avuto per la storia dell’umanità. E se qualcuno ci proverà a farlo non avrà dei grandi risultati.
Vi chiedo di pensare alle future generazioni, voi tutti dite di me che io sono il più grande ballerino della Storia, io non so se sia vero. Ho fatto tanto, ma so che devo fare ancora molto per guadagnarmi questo onore e ce la metterò tutta.
Pensate ad un bambino che per un’ora si ritrova in mezzo a migliaia di bambini come lui.
E ha me come suo insegnante.
Porterò in ognuno di questi bambini una parte del mio cuore, del mio sapere, del mio talento, della mia anima.
Lo so, non tutti saranno in grado di ricevere questo mio amore per loro, ma io glielo darò lo stesso.
Seminerò delle radici che germoglieranno nel mondo, una generazione che porterà dentro di sé il mare di questo mio sentimento.
Carissimi compagni di questa commissione, voi stessi sarete parte di queste generazioni, date sempre all’arte il posto che merita, fate che sia il centro del migliore Universo possibile dove tutti noi possiamo vivere. Siate anche Voi felici e gioiosi come me.”
Rudolf finì di scrivere queste righe e le rilesse più volte, nella paura che nell’impeto delle sue emozioni potesse commettere qualche stupido errore di ortografia.
Dentro la sua abitazione di via Arbat a Mosca si spensero tutte le luci, accese una vecchia lampada a petrolio che illuminò le sue mani che iniziarono a giocare con un piccolo trenino.
I suoi pensieri andarono a sua madre Farida che lo aveva partorito proprio dentro un treno che transitava in Siberia, mentre fuori il termometro segnava meno ventotto.
Poi guardò la sagoma del suo profilo proiettato sul muro ocra da quella vecchia lampada e pensò al Rudolf bambino.
Cosa avrebbe significato per lui da ragazzino a dieci o undici anni partecipare ad un evento del genere? Forse gli avrebbe dato ancora più forza di quella titanica che il piccolo Rudy aveva avuto, forse chi aveva quel desiderio in modo meno forte di lui, avrebbe avuto una spinta nella vita, non nella danza, ma nella vita, per inseguire per sempre i suoi sogni.
L’ombra di Nureyev a questo pensiero iniziò a sorridere e una piccola risata nell’oscurità sorprese anche lui.
Quando Breznev ricevette quella lettera andò a sedersi nel giardino di palazzo e chiese di essere lasciato solo.
Leonid Il’ ic aveva tra le mani una mela verde, quelle che adorava da sempre e gli diede un morso.
Fece viaggiare lo sguardo oltre le siepi pensando a Kamenskoe, Ucraina, da dove arrivava.
Russi, ucraini, bielorussi e tutti gli abitanti dell’est Europa di quegli anni avevano ideali comuni e la certezza di essere fratelli, come lo sono gli abitanti di ogni continente e della terra intera.
Ci vollero molti anni e molti stranieri per sfaldare quella fratellanza antica, ma come tutti i legami ancestrali, nessuno è in grado di garantire che un giorno tutto ritorni come ai bei tempi antichi.
Le parole scritte da Nureyev colpirono Breznev e poi i quattro indecisi e nel marzo del 1961 arrivò il sì “scritto” da parte del Governo sovietico nell’organizzare questa incredibile impresa.
Ma nel mese di aprile, il 12 aprile del 1961, il buon Gagarin mise la parola fine alla rincorsa di andare nello spazio, i russi avevano vinto e gli sfidanti americani se la legarono al dito.
Un popolo con una cultura acerba non è in grado di imparare dalle proprie sconfitte, reagisce solo malamente e così gli anni della guerra fredda si incattivirono ancora di più.
Il progetto di Nureyev finì nel dimenticatoio e questo fu uno dei motivi, insieme a molti altri più vitali, che lo portarono ad abbandonare nei primi di giugno la sua amata Patria e rifugiarsi in Francia.
Quella lettera venne ritrovata all’inizio degli anni novanta, dopo la fine dell’Unione Sovietica e colpì il mondo intero, ma in particolare un uomo italiano di nome Roberto che a sedici anni iniziava la sua carriera da ballerino al teatro La Scala di Milano.
Nello stesso anno Nureyev, un paio di anni prima della sua morte, gli fece un provino a Milano per il ruolo di Tadzio e fu folgorato dalla grazia dell’italiano, che per pudore non parlò al suo idolo di quella lettera che anche per lui aveva significato tanto.
Quel bambino un giorno diventò un uomo e fu, primo nella storia ad essere étoile della Scala e contemporaneamente il Principal Dancer dell’American Ballett di New York.
Tutto ciò accadde alla fiducia che gli diede un uomo russo. Un ponte che unì il mondo.
Oltre trent’anni dopo, l’8 Settembre 2024, uno stormo di dieci gabbiani, dopo circa centodieci giorni di volo, coprendo una media di ventiquattro chilometri al giorno, arrivò a Milano, in Piazza del Duomo, da un luogo imprecisato della Russia.
Lo sguardo delle persone fu subito attratto da questa nuova specie che era arrivata, i piccioni pur enormemente più numerosi, passarono in secondo piano.
Tutti insieme iniziarono a volteggiare nel cielo formando delle linee ai più non riconoscibili: tendus, arabesque, fondue e chassé, con una precisione millimetrica.
Poi ad un certo punto andarono a mettersi ai piedi della statua di Vittorio Emanuele II e iniziarono a godersi lo spettacolo.
In quella piazza il grande danzatore Roberto Bolle, quel bambino che ora aveva quarantanove anni, aveva riunito 2.000 ballerini di tutta Italia, che arrivavano da tutte e venti le regioni italiane.
La più grande lezione di danza all’aperto del mondo: se Nureyev avesse potuto vedere quegli occhi, quei sorrisi dell’anima, avrebbe gioito e sorriso con tutti loro. O forse lo fece lo stesso dalla sua nuova dimora.
Tutti erano vestiti di bianco. Gabbiani sopra e gabbiani sotto.
Tutti bravissimi a volare.
Io mi sono commosso...
Molto bello Max.
Un bambino che coltiva l’arte non preserva solo quella parte di sé sacra, ma lotta con ogni goccia del suo sangue per elevare la razza umana da bestia ad esseri illuminati.
Davvero una perla. Bellissima narrazione. Molto commovente.
L'ultima parte del racconto è toccante.. mi sono commossa. Molto ma molto bello!
Il racconto è affascinante e fa sognare su molti aspetti, ma presenta alcune aree migliorabili. La narrazione ad esempio, potrebbe avere una maggiore profondità nei personaggi, come il Principal Dancer e il legame con l'uomo russo, per creare un coinvolgimento emotivo più forte. Inoltre, l'arrivo dei gabbiani potrebbe essere reso più significativo con dettagli che sottolineano il loro simbolismo. La conclusione, pur poetica e sognante, potrebbe integrare un messaggio più esplicito sull'eredità della danza e l'impatto di figure come Nureyev.