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CREDO DI AVERLA UCCISA

Aggiornamento: 1 lug




foto e testo di Max Chianese

Fu tutto molto veloce e Andrea si ritrovò ad uccidere un’anatra.

E non fu decisamente un buon segno.

Oramai la nebbia era calata da un pezzo, ma non è che fosse proprio fitta, visibilità limitata si potrebbe dire, ma sempre una rottura di palle.

Davanti a lui una macchina rossa a fare da apripista.

Su Spotify aveva fatto partire un disco del gruppo preferito di suo padre: Dynasty dei Kiss.

Per anni aveva dovuto guardare in salotto i quattro faccioni mascherati di Paul Stanley, Gene Simmons, Ace Frehley e Peter Criss.

Belli sì, ma come tutte le cose troppo complesse, e un disco deve esserlo, poi stanca.

Andrea era tipo da tramonti, da arcobaleni, da cascate, questo avrebbe dovuto appendere al muro, invece quei quattro stronzi lo costringevano ogni volta a fare dei passaggi mentali di cui non aveva bisogno.

Come si chiama quello vestito da gatto? Eric Carr, no lui era arrivato dopo, era la volpe, ah si Peter Criss, tutte preoccupazioni che le palme di Santo Domingo non ti danno.

Da circa venti minuti era partito da Milano per Piacenza per vedere Sally.


SALLY


I due non si vedevano da oltre tre anni.

Lei le aveva scritto un messaggio che non si sarebbe mai aspettato: “Tu sei stato una persona fondamentale della mia vita e non te l’ho mai detto”.

Chi gli aveva mai mandato prima di quel momento un messaggio simile? Nessuno, su questo non c’erano dubbi. Mai nessun essere vivente, vertebrato o invertebrato.

Doveva vederla. Fosse stata anche in capo al mondo. E Piacenza era anche meglio.

La prima canzone del disco Dynasty fu probabilmente quella che fece conoscere al mondo i Kiss: “I was made for loving you”.

E al di là dei gusti pessimi di suo padre, ma non in questo, piaceva tanto anche a lui, molto più melodica e mielosa delle altre del gruppo tra l’altro.

Andrea aveva la commozione facile, ma nessuno lo aveva mai capito.

Era un sentimentalone, nonostante tutti lo chiamassero da anni in quel fottuto modo che odiava:


L’ALIENO.


Laureato in ingegneria informatica, tra i vari buchi del suo lavoro di ufficio, dove era stimato e rispettato da tutti, si era specializzato per dare assistenza nella riparazione dei computer.

La gente lo chiamava, lui si collegava in remoto e trovava sempre una soluzione.

Un vero genio nel suo settore.

“Nella vita, non serve essere numero due del mondo nel tennis o il marito cantante di una influencer con la voce sgradevole, per poter primeggiare ed avere un ruolo civile e sociale, serve molto meno, anche se tanti non lo capiscono. Bisogna essere bravi in una sola cosa.”

Quante volte aveva sentito quelle parole.

Una sola cosa, mica tante e dedizione in modo ossessivo: questione di vita o di morte, poco importa che sia fare il cubo di rubik (che è un po' più semplice) piuttosto che trovare la cura del cancro alla prostata.

“Impara a fare una cosa bene e togliti dalle palle” questa era la massima che suo padre Massimiliano, preso da mille cose diverse col dubbio di non saperne fare bene neanche una, gli ripeteva dalla culla ai discorsi che facevano oggi che aveva trent’anni.

E lui era diventato bravissimo nel riparare i computer. Un mostro, un genio.

Andrea aveva avuto sempre un carattere misto tra lo scontroso, il riservato e il timido, per questo lo chiamavano l’alieno.

Quando gli facevi una domanda prima di rispondere, rifletteva.

E non capivi mai se quella pausa poteva durare cinque secondi o quaranta minuti.

In quel periodo ti assaliva il panico, ti portava in uno stato d’ansia che solo gli incubi degli esami delle superiori vent’anni dopo potevano reggere il paragone.

Fare una domanda e vederti davanti uno che pensa, è spiazzante, anzi di più devastante.

In quei momenti, chi aveva superato la fase “E adesso?”, ti potevano venire mille pensieri contrastanti e assurdi, del genere “Ma sarà mica quel pazzo che ha ammazzato quella ragazza di cui parlano tutti i giornali?”, oppure “Adesso andrà a casa travestirsi da drag queen e trasformarsi in Marcella la pazza, famosa nell’ambiente perchè col playback di “montagne verdi” aveva estasiato e fatto innamorare decine di mariti insospettabili”, oppure “ma a me questo sembra quello della raccolta differenziata del vetro”!

Le cose più strane ti potevano venire in mente in quelle cazzo di pause.

Ma lui, Andrea, che era bastardo dentro, era consapevole di tutto ciò.

Tutta colpa di quel corso di improvvisazione teatrale fatto a diciannove anni dove gli avevano spiegato che le pause creano attenzione.

E lui li aveva presi in parola, come prima era accaduto con suo padre.

Con Sally però si era lasciato andare, se ne sbatteva di quel numero da circo.

La prima frase di “I was made for loving you” era “Tonight I wanna give it all to you” che senza tanti fronzoli significava “Stanotte voglio dartelo tutto”, ma Andrea soffriva di una strana forma di autismo, non capiva il senso delle parole nelle canzoni, neanche in italiano, figurarsi in inglese. E così quella amorevole frase gli era passata davanti senza lasciare conseguenze.


L’ANATRA


SBATABAM qualcosa gli era finito contro il parabrezza all’improvviso.

Non un bel presagio prima dell’incontro con LEI.

Ma non aveva perso la calma, con il suo aplomb da alieno aveva detto “Oh merda” quasi sottovoce. E senza pause stavolta.

Iniziò a pensare che non doveva pensare a quell’incidente. E naturalmente l’effetto di pensare a non pensare è molto simile al mantra di ogni insonne: devo dormire, devo dormire, devo dormire….. E naturalmente non dormi, visto che queste litanie da rincoglioniti vanno bene in Nepal ma in Italia funzionano decisamente poco, essendo un noi popolo loquace, come pochi altri.

Il ristorante lo aveva scelto lui, dopo circa due ore di letture di recensioni e stelline e stellette: “Tutti al Borgo”, nome di merda, ma ne parlavano bene.

Andrea arrivò e scese dalla macchina , Sally era lontana un centinaio di metri, in piedi col suo fisico magro e atletico da pallavolista, i due si avvicinarono e si ritrovarono in un abbraccio di gioia e felicità, come se quei tre anni non fossero mai esistiti. Ma ne sarebbero potuti passare venti e sarebbe stato identico.

Andrea adorava Sally perché era totalmente senza filtri, poteva sorprenderti in mille modi diversi con frasi inaspettate e divertenti, in lei regnava un animo libero che neanche a cent’anni l’avrebbe relegata in quel groviglio di convenzioni che il bel mondo che ci sta intorno ci propina ogni secondo della nostra vita.

Lei se ne sbatteva fottutamente.

Quando entrarono, lui iniziò subito a capire che il fantastico mondo delle recensioni è una delle grandi porcate che il sistema economico mondiale della ristorazione si era inventato.

Si sedettero e lei iniziò a parlare. Qualsiasi argomento andava a toccare lo illuminava della sua aurea, lo rendeva magico e lui come un povero idiota, la guardava estasiato che neanche i fedeli di Medjugorje davanti ad un’apparizione potevano avere quella faccia.

Ma poi lo vide, in basso, in un angolo, che si muoveva bello arzillo.

E il terrore lo assalì.

Un merdosissimo scarafaggio scorrazzava allegramente sul pavimento del plurirecensitoristorante.

Pronto a sputtanargli la serata della sua vita.

Preso dal panico, gli uscì la prima frase della serata ma non riuscì a concludere.

In alcuni frangenti della vita il tempismo è tutto.

Puoi aver fatto anni di Università, preso Master, Nobel, Oscar, ma se sbagli i tempi, è la fine.


“Credo di averla uccisa”, i suoi pensieri, senza nessuna ragione, erano andati a quell’anatra demente che si era spiattellata sul suo parabrezza.

Sally stava ingoiando il boccone più grosso della sua grigliata di carne, ma quelle parole gli andarono a bloccare quel pezzo di costina di maiale in un punto dove non si sarebbe mai dovuto mettere.

Sally strabuzzò gli occhi, con una mano si tirò due pugni sul petto, lui pensava che fosse un gioco amoroso, divertente, solo per loro due e strampalato come lei e così sorrise, gli fece anche lui degli occhi strani e si batté i pugni sul petto, sorridendo da ebete, forse ancora scosso e sconvolto dall’apparizione del bacarozzo che trotterellava.

Esiste una sola alternativa a chi non ha dimistechezza con la miracolosa manovra di Heimlich, l’unica in grado di salvarti in queste situazioni, si resta fermi a guardare e la persona davanti muore. E cosi successe.

Ci fu il panico nella sala, gente che urlava, i proprietari del Bangladesh iniziarono a imprecare nella loro lingua parole incomprensibili ad ogni bangla se non nella periferia di Chittagong.

L’alieno non mosse un muscolo, restò concentrato a guardarla che schiattava davanti a lui. Come se fosse uno schema di ms-dos da decifrare che non capiva.

Che cazzo stava succedendo? Cos’era quella roba lì???

Quando arrivò la polizia non sapeva cosa fare con lui, talmente era concentrato.

Ma quella fu decisamente la pausa più lunga della sua vita.

17 commenti

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PARSIFAL

ELENA RIZZO

17 Comments


Unknown member
Jun 10

Mi ha tenuto sulle spine, quel presagio in fondo mi ha tenuta in un'atmosfera noir anche quando sembrava andasse tutto bene. L'ho bevuto d'un sorso. E questo mi piace sempre, quando un racconto riesce a trasportarmi senza lasciarmi spazio per dubitare o pensare ad altro. Grazie Max... aspetto i prossimi...

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Unknown member
May 28

Bravo Max, bello anche questo! :D

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Unknown member
May 29
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Grazie Dario, sempre gentile!

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Unknown member
May 28

Il racconto più vero che tu abbia scritto.

Ad oggi il mio preferito.

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Unknown member
May 28
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Allora lo terrò come riferimento! Come al solito abbiamo gusti simili!

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Unknown member
May 27

Si concordo...un corto quasi kafkiano...di sapore intenso e con voglia di scoprire se ...l'avrà uccisa?

Bravo

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Unknown member
May 28
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Grazie Andrea, un caro saluto, Max

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Unknown member
May 27

Molto interessante....la storia si svela pian piano e arriva dove non ti aspetti ... Trovo sia un ottimo modo per mantenere il lettore attento, curioso e desideroso di inoltrarsi tra le righe del racconto

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Unknown member
May 27
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Grazie Tita, un caro saluto, Max

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