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FATTI IN VIETNAM


foto e testo di Max Chianese

Prima ora di matematica, scuola media italiana.

 

A Milano, ci sono due negozi di abbigliamento.

Entrambi vendono jeans, come prodotto di punta.

Nel primo negozio, vicino a Porta Romana, ci sono venti paia di jeans.  Ognuno costa 40 euro.

Li vendo tutti in una giornata. 

Al proprietario sono costati 3,50 centesimi l’uno.

Quanto ci guadagno, ragazzi?

 

Alessia tentenna un po' e poi alza la mano:

“40x20 fa 800, meno 70 euro del costo dei jeans, ci guadagno 730 euro.”

 

Bene. La commessa che vende i jeans, ha un aspetto gentile, capisci che è informata, sa fare il suo lavoro, riesce a svelarti rapidamente la differenza tra le taglie americane e quelle europee, conosce il tipo di tessuto di cui sono fatti, ti sa descrivere le differenze tra un blu scuro e uno chiaro, sa anche dirti quale ti potrebbe star meglio, quello che si addice di più alla tua personalità.

 

Nel secondo negozio di jeans invece, dentro la Rinascente in pieno centro a Milano, ci sono altri venti paia di jeans, la marca cambia, ma non tutti sanno che sia i primi che questi, arrivano dallo stesso laboratorio in Vietnam.

Mano d’opera bambini tra i 10 e i 13 anni.

In questo stand un paio di jeans costa 400 euro l’uno, se ci fosse un tecnico esperto di jeans, constaterebbe che, a parte l’etichetta, sono pressoché identici.

In una giornata vengono venduti 2 paia di jeans e ne restano 18, quanto guadagno qui?

 

Alessia risponde sempre per prima.

“Uguale all’altro, stesso guadagno e stesso ricavo!”

 

Bravissima, ma quindi qual è la differenza?

E soprattutto descrivetemi la commessa del negozio in centro...

 

Centro di Milano, vicino al Duomo

 

Ad Aldo, padre di Alessia, le file erano sempre piaciute e anche oggi si trovava in fila dove un display luminoso indicava:

 

45 minuti di attesa.

 

La lentezza, la stessa decantata da Kundera, era una delle sue ambizioni, un suo traguardo per il nuovo anno appena iniziato.

Era in questi momenti che poteva lasciare la mente libera di viaggiare.

Spesso trovandosi in centro, ripensava a tutti i cinema che popolavano il centro di Milano, sforzandosi di ricordare tutti i nomi, un po' come si fa con i sette nani:

Gli undici cinema che c’erano nel centro di Milano.

Astra, Excelsior, Ambasciatori, Pasquirolo, Mediolanum, Corso, Odeon, President, Apollo, Mignon, Ariston.

E poi l’Arlecchino che ancora resiste.

Una volta aveva letto un articolo: Quando a Milano c’erano 160 cinema!

Oggi ne restano circa 25, la cosa ridicola è che nel 1908 ce n’erano 44, pensa Aldo.

Chi è stato il responsabile di questo scempio?

Chissà se alle scuole medie avevano mai pensato di fare domande sul degrado urbano di questa città?

 

30 minuti di attesa

 

Gli altri negozi del centro di Milano sono gli stessi di qualsiasi centro commerciale di provincia, stesse facce, stessi prodotti scadenti venduti a prezzi esorbitanti, stessa mancanza di umanità.

E c’era ancora qualcuno che parlava di sindaci di destra, di sinistra, della lega o di altri partiti.

La città era stata deturpata e sfregiata da qualsiasi colore politico in nome del profitto.

Chiunque abbia mai amato questa città conoscendo il suo lato poetico, quello di Dino Buzzati, di Alda Merini, di Dario Fo, di Franco Loi, non poteva che detestarla oggi, provando un senso di ribrezzo e di fastidio, davanti al nulla e all’omologazione che rappresentava.

Era diventata un tappeto lustro sotto il quale buttare tutta l’immondizia di chi la governava.

E spesso i rifiuti erano tossici.

Accanto a via Monte Napoleone stazionavano una decina di barboni dentro delle tende, qualcuno di loro ogni inverno ci lasciava le penne, il corpo veniva portato via solo il martedi, quando passava l’indifferenziata.

 

20 minuti di attesa

 

Aldo amava osservare le facce delle altre persone in fila come lui, ognuna gli raccontava una storia ben precisa, ma negli ultimi tempi le facce si erano fatte tutte uguali, senza lineamenti, piatte, insignificanti.

Scrivere gli era sempre piaciuto, ma solo da poco tempo si era dato una regola minima di scrittura, un minimo indispensabile giornaliero da rispettare.

E questa piccola regola lo stava aiutando a buttar fuori pensieri, ricordi, affari non risolti con persone che forse non avrebbero mai letto, ma questo gli importava poco.

Il fine ultimo dello scrivere è scrivere e basta, questo si ripeteva spesso. Chi non lo capiva, è perché non scriveva mai!

Scrivere, lo aveva riavvicinato anche alla lettura, che per troppo tempo lo aveva abbandonato.

 

10 minuti di attesa

 

Il suo cinema preferito era il President, aveva un’eleganza superiore agli altri e chi decideva la programmazione aveva sempre delle intuizioni brillanti.

Anche se, vicino a casa sua, c’era il mitico cinema Maestoso, dove nel 1978 aveva visto due volte di fila Grease, insieme ai suoi due fratelli.

Quel cinema aveva una particolarità unica in tutta Milano, la prima piastra con gli hot dog che giravano.

E mangiarsi un panino con wurstel e senape, durante un film era uno dei piaceri assoluti più grandi che la vita gli aveva riservato.

 

5 minuti di attesa

 

In fila con lui c’era un signore asiatico insieme ad un piccolo bambino. Purtroppo non siamo stati educati nel riconoscere le differenze tra persone di altre etnie.

Ci viene facile capire se uno arriva dal sud Italia o dal Nord, se ha tratti mediterranei o nordici, un aspetto francese, britannico o nordeuropeo, ma quando cambia l’etnia non sappiamo che pesci pigliare. Tutto ci sembra, stupidamente uguale.

Aldo iniziò ad immaginarsi che questo bambino, aggrappato alla  mano di quest’uomo, fosse vietnamita, come quei bambini di 10/12 anni che cuciono i jeans venduti nei due negozi di Milano.

Forse adesso avrà 3 o 4 anni, ha ancora pochi anni d’innocenza prima di essere fagocitato dal nostro bel sistema capitalistico che tanto ci piace.

 

Certo... il problema della prima ora di matematica, L’uomo si domandava cosa avesse risposto sua figlia Alessia.

 

Fine della coda

 

Come nelle discoteche degli anni ‘90 due uomini vestiti di nero lo squadrano e gli dicono di accomodarsi nel negozio.

Finalmente Aldo è arrivato e si inizia a chiedere il senso di quel tempo passato in coda.

PERCHE’ LO HA FATTO?

La scritta sopra la sua testa diceva “Panzerotti Luini” una istituzione a Milano, ma un tempo erano una cosa diversa, una specie di snack o pranzo a buon mercato, adesso erano diventati un brand e la mozzarella e pomodoro avevano subito preso un gusto diverso, grazie a questo nuova caratteristica, il brand!

45 minuti per prendersi un panzerotto è demenziale, iniziò a pensare Aldo, ancora di più visto che qualche furbone aveva aperto accanto una pizzeria analoga che vendeva gli stessi panzerotti, fila uguale a zero.

Così Aldo decide di comprarsi il tanto sospirato panzerotto da tre quarti d’ora di fila e poi va subito nella pizzeria accanto a comprarsene un altro, senza fare coda.

Li assaggia entrambi, guarda la gente intorno e capisce.

 

Risoluzione del problema di matematica

Il guadagno dei due negozi di jeans è identico, i jeans sono identici, ma ci sono tre grandi differenze.

 

a)    La commessa.

La gentilezza della prima commessa si tramuta in arroganza nella seconda commessa, che non sa niente, ma è vestita meglio, lei si sente un gradino sopra il cliente, non capisce che la sua sopravvivenza è legata al portafoglio di chi ha davanti e non lo capisce perché non ha bisogno di lavorare.

E’ stata piazzata lì da qualche parente che non sapeva dove metterla ‘sta benedetta ragazza che a 17 anni ha deciso di rifarsi le tette per essere all’altezza del mondo, la poveretta avrebbe potuto fare tanto nella vita, ma non farà mai niente.

 

b)    I jeans

Nel primo negozio sono stati tutti venduti, nel secondo solo due. E’ vero che il guadagno è stato lo stesso, ma al proprietario del secondo non importa se dovrà buttare via gli altri 18 paia di jeans, il suo incasso lo ha già fatto. Alla faccia del piccolo vietnamita che tiene la mano del padre.

 

c)    Il cliente

Oramai noi tutti siamo solo dei bancomat quando varchiamo la soglia di un negozio, pensa Aldo, non veniamo neanche visti da negozianti e commercianti. Parliamo e non ci ascoltano, se siamo fortunati ci salutano all’uscita, la loro gentilezza è solo una facciata ed è sempre proporzionale ai soldi che spendiamo.

Pagare un paio di jeans oltre 100 volte il prezzo di acquisto non è sbagliato, è immorale. È prendere in giro il cliente, non soddisfarlo.

Qualche giorno prima Aldo aveva letto che avevano affittato in periferia a Milano, zona Quarto Oggiaro, una stanza di un appartamento con una lavatrice da un kg di carico, allo un prezzo che prima si prendeva un trilocale.

Sulla lavatrice c’era un cartello: si raccomanda un capo alla volta!

 

Chi ha permesso tutto questo? Perché accettiamo tutto questo?

 

Queste erano le ultime parole sul libro di testo di matematica di Alessia, almeno lo erano nel mondo dei sogni dove di tanto in tanto Aldo amava rifugiarsi.

 

 

 

 

2 commenti

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2 Comments


Unknown member
2 giorni fa

Come al solito un bel racconto ma questa volta non concordo sull'eccesdive critiche a Milano

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Unknown member
4 ore fa
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Più che critiche, è la comparazione tra quella e questa Milano, soprattutto nella salvaguardia dei negozi storici e dei cinema.

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