(25 June 1903 – 21 January 1950) 75° anniversario della sua scomparsa
di Cinzia Milite

Nel panorama della letteratura del Novecento, George Orwell brilla come un faro nella nebbia: le sue opere non sono semplicemente racconti di fantasia, ma avvertimenti lucidi e inquietanti su derive politiche e sociali che, allora come oggi, riverberano con una forza disarmante. 1984 e La fattoria degli animali, due tra i suoi lavori più celebri, hanno scolpito nell'immaginario collettivo scenari distopici e allegorie potenti, lasciando un'impronta indelebile.

Orwell non è stato soltanto un narratore,
ma un veggente, capace di intrecciare parole e pensieri che avrebbero definito intere epoche. Termini come “Grande Fratello” e “bipensiero” non sono soltanto elementi di un racconto, ma specchi in cui osservare le pieghe oscure della nostra società. Il “Grande Fratello”, sovrano onnipresente dell’Oceania, e il “bipensiero”, l’accettazione simultanea di due verità contraddittorie, sono divenuti archetipi di una modernità inquietante. Non sorprende, quindi, che nel 2017, durante l’amministrazione Trump, 1984 sia tornato a svettare nelle classifiche di vendita: il linguaggio dei “fatti alternativi”, espressione resa celebre dalla consigliera presidenziale Kellyanne Conway,
evoca in modo sinistro il concetto di “bipensiero” orwelliano.
Eppure, confinare Orwell al ruolo di profeta distopico significherebbe sminuire la profondità della sua visione. Prima di essere un autore celebrato, è stato un uomo immerso nelle contraddizioni del suo tempo. L’esperienza come produttore di propaganda per la BBC — un ruolo che, secondo le sue stesse parole, lo disgustava — ha nutrito quella visione critica che poi ha riversato nei suoi scritti. Orwell non si limitava a narrare storie, ma costruiva avvertimenti, esplorando i pericoli di una società che controlla non solo i corpi, ma anche le parole, e dunque i pensieri.

Nel ricordarlo oggi, a settantacinque anni dalla sua scomparsa, il 21 gennaio, emerge una domanda che vibra come una corda tesa: quanto siamo distanti dalle sue distopie? Viviamo in un’epoca dove l’informazione è sovrabbondante, ma spesso manipolata; dove la sorveglianza è diventata digitale e onnipresente; dove le narrazioni ufficiali riscrivono a volte la trama della realtà. Orwell non è stato solo uno scrittore del suo tempo, ma un costante promemoria per il nostro presente. E forse, anche per il nostro futuro.
Riflettere su Orwell significa guardarsi nello specchio di una verità scomoda: non è tanto il mondo che descriveva a spaventarci, quanto il fatto che, scrutandolo, possiamo riconoscere il nostro.
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