
All’Universo piace sfidarci, continuamente.
Si diverte a mettere alla prova la nostra capacità di adattarci ai cambiamenti.
E lo fa durante il nostro grande viaggio, ogni giorno, anche quando ripetiamo in modo abitudinario le stesse azioni, gli stessi pensieri, le stesse stupide frasi.
Ma i sentimenti no, quelli fanno parte dell’abisso, la parte più preziosa di noi, come l’istinto.
Basterebbe aprire gli occhi di qualche millimetro in più per vedere che tutto ciò che ci sta intorno inevitabilmente cambia, muta in ogni istante, noi per primi.
Paesaggi, persone e situazioni inaspettate sono lì, in attesa del nostro arrivo. Ma noi siamo troppo stupidi in generale per farlo.
Tutto ‘sto prologo l’ho fatto solo per dire che sono sempre stato bravo nelle immersioni.
E così il giorno dopo l’accaduto ho deciso di rifugiarmi al Bass, il museo più famoso di Johnannesburg, che è sempre stato un sogno per me! E finalmente ci sono entrato.
L’atmosfera, come sott’acqua sempre accade, è ovattata, rotta solo dello scricchiolio dei miei passi sul parquet nuovo.
Così inizio a vagare nella corrente in mezzo ad opere d’arte.
Io e Marco siamo cresciuti insieme, dalla prima alla quinta elementare e poi anche le medie.
A undici anni le nostre famiglie ci mandarono in Inghilterra, in un paesino di nome Littlehampton, uno dei ricordi più belli di quegli anni, no, di tutta la vita!
Poi con le superiori siamo andati avanti a sentirci, ma sempre molto più raramente, le famiglie che ci siamo creati, il lavoro e tutta la superficialità che sovrasta le nostre esistenze ha avuto la meglio.
Devo dire che è stata veramente una forte emozione rivederci dopo tanti anni.
L’amicizia è un’alchimia ancora più sottile dell’amore, si nasconde nelle piccole cose, forse per questo la scelta di andare semplicemente a mangiarci una pizza insieme.
Abbiamo ricordato quel viaggio di quarantacinque anni prima, è sorprendente come la memoria ricordi dettagli inutili, ma che creano immagini dense e concrete.
Quella cittadina inglese ci aveva regalato una camionata di ricordi. E adesso ci sfidavamo a memoria, a chi ne tirava fuori di più.
Littlehampton, Gran Bretagna, contea del Sussex: 25.593 abitanti, giugno 1979.
«I sandwich che ci preparavano per il pranzo la family che ci ospitava, ti ricordi quando li lanciavo nelle villette accanto?”, “What is this?, WHAT IS THIS? ”, mi ha iniziato a chiedere la signora, furiosa, un giorno quando ne ha trovato uno per terra. Io facevo finta di non capire, di non capire l’inglese”, “Fuckin’ italians!” avrà pensato. Lui annuisce, divertito. “E il negozio di fish and chips? Ogni giorno, porzione doppia”. Solo io lo ricordavo così bene. “E quella volta della ragazza svedese? Le hai raccontato quella storia della vincita al gioco? E in realtà eri andato a cambiare delle banconote in tante monetine!” scoppiamo a ridere. “E quel dolce al cocco, metà bianco metà rosa? Il più buono del mondo!”. E via così, a scambiarci battute e ricordi, tralasciando quasi gli altri nove anni passati insieme. Incredibile come quelle tre settimane ci fossero rimaste così impresse.
La pizza è buona, io prendo una “Porcavacca”, che in realtà è una quattro formaggi più panna dolce, lui una “Messicana”, con salame e olio piccante.
Quando sei assorto nei pensieri, nelle discussioni, senti poco dei sapori che stai provando, questa è una teoria che ho sempre sostenuto, per questo le diete funzionano solo se hai cose interessanti da fare nel mentre, altra mia teoria strampalata, ma che forse ha qualcosa di vero.
La serata finisce e ci salutiamo con la promessa di rivederci presto, ma lui mi dice che nei prossimi giorni partirà per Johannesburg, deve seguire un corso di aggiornamento per la sua società di due mesi.
Appena tornato a casa mi metto a cercare la foto, ne abbiamo parlato, ce la ricordiamo tutti e due. Chissà poi chi l’aveva scattata! Noi due seduti per terra che salutiamo con in mezzo alle gambe dei cilindri di cemento, a simulare due grossi falli, forse il pensiero era “col cazzo che torniamo a casa”, chissà…
La trovo e inizio a sorridere, poi mi addormento.
Passa qualche giorno e mi viene un’idea folle, ma se facessi una improvvisata a Marco in Sudafrica? Magari passeremmo ancora qualche bella serata insieme, ma che valore hanno queste serate? quei ricordi, rispetto a ciò che sto vivendo?
Così mi organizzo: volo per il Sudafrica!
Tra l’altro mi viene in mente appunto il Bass, questo museo di cui ho sempre sentito parlare che ha ospitato qualche anno fa una mostra personale del mio fotografo preferito, Jan Saudek! Chissà cosa avranno allestito adesso? Un motivo in più per andarci.
Partenza da Milano - Malpensa alle 23:45, primo scalo per Addis Abeba dopo quasi sette ore di volo e poi altre cinque ore e arrivo verso l’ora di pranzo a Johannesburg.
Intanto mando dei messaggi a Marco. “Se sei a Johannesburg devi portare i miei saluti ad un caro amico, Anthony, fa sempre colazione in un bar, ti lascio l’indirizzo del posto, domani mattina è lì a fare colazione!”, e lui mi risponde “Certo che ci passo, tra l’altro è abbastanza vicino al mio albergo!”, “Va bene, gli lascio il tuo numero, ci vediamo presto!”.
Quel “ci vediamo presto” è indecifrabile e non avrebbe mai potuto capire che Anthony c’est moi! Le sorprese mi sono sempre piaciute e avevo veramente bisogno di qualche giorno di stacco da tutto.
La mattina arriva, la notte è stata abbastanza tosta, faccio sempre fatica a dormire in letti che non conosco, è sempre stato così, ma oramai l’incontro col mio grande amico si avvicina!
EST. BAR DI JOHANNESBURG - POMERIGGIO
Marco arriva. Io lo vedo da lontano e mi siedo ad un tavolino. Marco si guarda intorno, mi alzo e vado verso di lui.
MARCO (sorpreso e un po' in stato di shock)
Ma cosa ci fai qui?
Io sorrido e non dico niente, la sorpresa è riuscita.
IO
Volevo farmi un giro! Non te l'aspettavi, vero?
MARCO (visibilmente imbarazzato)
Beh, no... non proprio.
IO
Dai sediamoci, due caffè, va bene?
(Marco annuisce, mi alzo e ordino in inglese due caffè)
IO
Allora, raccontami come stai. Cosa hai fatto di nuovo?
MARCO
(esitando) Beh... niente di che. E tu?
IO
Quando abbiamo passato quella serata in pizzeria, ho capito quali sono le cose importanti e quali no. Per troppo tempo non ci siamo visti, mi è venuta in mente un'altra cosa su quel viaggio, ti ricordi...
MARCO
(interrompendomi e andando in ansia)
Ma perché sei qui? Ci siamo visti dopo tanti anni
e oggi compari qui?
IO
Ma perché sei il mio migliore amico!
MARCO
Sei sicuro?
IO
Certo, ma perché me lo chiedi?
MARCO
No, niente.
Marco resta in silenzio per un po', io mi rendo conto che gesti estremi come questo, possono creare ansia o sgomento in altre persone. E poi aggiunge una frase che mi chiarisce tutto.
MARCO
Posso chiederti una cosa?
IO
Sì, certo, vai!
MARCO
Ma a te piacciono le donne?
Questa domanda mi lascia interdetto, ma chi ho davanti? Possibile che tutto si riduca a questo? Che il nostro modo di pensare sia così limitato? Che l'amicizia venga considerata un sentimento secondario e forse neanche tanto indispensabile? Poi rifletto un po' più in profondità, allora io so la risposta, di occasioni di passare dall'altra parte del guado me ne sono capitate parecchie e se mi fosse interessato veramente, l'avrei già fatto, ma non voglio dargli una risposta definitiva. Non se la merita. Questa sua domanda, fatta in questo modo, dopo che mi sono fatto migliaia di chilometri mi ha offeso nel profondo. E allora me la gioco a modo mio. La mia capacità di elaborazione e di adattarmi alle situazioni mi ha sempre salvato.
IO
Ti dico la verità.
MARCO
Dimmi, dimmi pure.
IO
Daniele, te lo ricordi?
MARCO
Daniele??? Ah sì! Ma cosa c'entra?
IO
Allora Daniele lo sai che è gay da sempre, già da ragazzini si capiva. (pausa) Dopo che ci siamo incontrati quella sera in pizzeria l'ho incontrato per caso. E lui mi ha detto che avete avuto una storia!
MARCO
CHE CAZZO TI HA DETTO????
IO
È proprio così! Allora mi sono chiesto perché quella sera che noi ci siamo visti, tu non mi hai detto niente? Io ho sempre creduto che tu fossi il mio migliore amico, anche se non ci siamo visti per tanti anni! Ma un miglior amico ti parla a cuore aperto! Mentre tu non hai fatto cenno a questo! Perché mi sono chiesto?
MARCO
Ma io te lo giuro non sono gay!
IO
Guarda che me lo puoi dire! Non ti devi vergognare! Solo che io non sono la persona giusta e mi spiace per te. Sono venuto fino qua per chiarire, perché siamo amici!
MARCO
Ma io te lo giuro, te lo giuro! Ma questo Daniele è un pazzo e non mi ricordo neanche che faccia ha!!!
IO
Ti ripeto che ti devi fidare di me, siamo amici.
MARCO
MA VUOI FARMI INCAZZARE??? Come te lo devo dire!!!
IO
Ok, ok, va bene, mi hai convinto. Pensa che io sono venuto qui, anche per chiarire questa cosa con te, non volevo darti delle false illusioni.
MARCO
Mi spiace che hai fatto questo viaggio per me!
Potevi farmi una telefonata!
IO
Ma no, non ti preoccupare, tra l'altro c'è una mia amica che probabilmente riuscirò a vedere in questi giorni. Mi è sempre piaciuta. LEI!
MARCO
Ah! Bene! Ma tu pensa che casino 'sto Daniele, ci sono i pazzi in giro!
IO
Ma sì, mi ha fatto piacere venire qua.
MARCO
Ma stasera ci mangiamo qualcosa insieme?
IO
Eh mi sa che stasera vedo lei. Sentiamoci per domani.
E così ci salutiamo. Il giorno dopo decido che terrò il telefono staccato, non mi va di rivederci, capisco che non mi interessa più, acqua passata e inizio a vagare per Johannesburg e poi me lo ritrovo davanti. Il Bass! Ci sono diverse mostre, ma poi vengo attirato senza possibilità di scelta in una grande stanza in penombra e vedo una gigantesca installazione fatta da un artista russo: Anton Utkin, titolo: I AM THE MAN OF THE MOON. In uno spazio di circa venti metri per otto, quindi in oltre 150 metri quadrati, è stata ricostruita con un materiale che mi sembra sabbia mista a terra la superficie della luna e in mezzo c'è un uomo con la classica tuta spaziale Orlan. Accanto a lui c'è un grosso libro con sopra scritto: Дневник капитана , che tradotto significa Diario del Capitano. Per fortuna le scritte del diario sono tradotte in inglese e riesco a capirne il significato.
“Luna. È un sentimento che mi ha portato in questo posto. I miei occhi vedono questa superficie, ma i miei occhi sono solo i miei occhi. Un altro astronauta vedrebbe in modo diverso quello ho davanti? Tocco la terra, ma non posso farlo a mani nude. Io non lo so perché sono qua, ma so che sono qua e prima non ho idea di dove fossi. La luna è più bella da dove sono adesso, ma il viaggio che mi ha portato fino qua è stato altrettanto bello. Vorrei essere qua non da solo, ma so che la condizione umana è che tutti noi siamo soli, ma in fondo non mi dispiace. Anche se a volte m'illudo di non esserlo e basterebbe veramente poco per non esserlo.”
Sono parole che mi turbano, ma in fondo le capisco, noi tutti siamo uomini che vivono sulla luna.
L'ho già scritto altre volte, forse, che mi piace come fai saltare il lettore da un luogo all'altro e da un tempo all'altro, ricongiungendo tutto e rivelando la vicenda solo dopo la riconnessione. Complimenti vivissimi, splendida lettura!
Un po' lungo per essere un racconto ma è anche questo un buon spunto di riflessione. Mi fermo qui perché ho visto che di commenti iper verbosi già ne hai...
Premettendo di essere imparziale non concordo assolutamente nell' usare il termine "incoerenza" alludendo al commento precedente al mio che ho appena letto correndo il rischio di sollevare polemiche quindi entrerò nello specifico della trama narrativa direzionalmente verso il nucleo intellettuale senza lasciare nulla al caso: analizziamo il racconto e facciamo chiarezza su questa emozione non " incoerente" ma ambivalente che mescola tristezza e
felicità, LA NOSTALGIA! Essa rappresenta un complesso stato emotivo che si manifesta con il desiderio struggente di ritornare a luoghi, tempi o eventi del passato. Il termine deriva dal greco nostos, che significa “ritorno a casa,” e algos, che si traduce come “dolore”. Nel tempo, la nostalgia ha assunto sfumature poetiche, evolvendo da una condizione medica a…
A partire dal fatto che detesto i racconti iper-lunghi, preferendo magari racconti più stringati e dettagliati che lasciano riflettere, devo aggiungere che è un racconto frammentario e incoerente.
La descrizione dell'installazione è puramente descrittiva, priva di analisi critica. Il "Diario del Capitano" (Star Trek e l'Enterprise del capitano Kirk?), è un insieme di frasi banali e sentimentali. La conclusione è un 'non sequitur'.
Un tentativo maldestro di esplorare la solitudine, ma soffocato da una scrittura debole e una struttura narrativa inesistente. Un barlume però si intravede tra i troppi difetti. Stavolta pollice verso per il buon Max, che ci ha fatto leggere di meglio tra i suoi scritti.👎