Ridere è una delle cose più importanti dell’esistenza, è un qualcosa che si capisce troppo tardi, ma il modo in cui io e Bakunin abbiamo riso quella volta non può avere eguali.
Tutti noi, che siamo grandi e vaccinati, sappiamo in occasioni pubbliche come comportarci, siamo consapevoli che non puoi esplodere a ridere in faccia ad una persona, anche quando se lo meriterebbe. Trattasi di totale maleducazione, ma esistono dei momenti, rarissimi, dove se ti assale il morbo del riso non hai armi per poterlo contrastare. E vince lui.
E puoi fare una sola cosa: ridere a crepapelle, così si dice e da quella volta, capisco anche il perché.
Noi due ci conosciamo da un botto di anni, da quando eravamo ragazzi, bambini no, direi ventenni, anche se abbiamo cinque anni di differenza, io sono quello più giovane, quindi direi dai 20 miei e dai 25 suoi.
Bakunin, lo chiamiamo così da sempre, almeno da quando lo conosco, anche se tutti sappiamo il suo nome che lui non permette a nessuno di usare, neanche a sua madre.
C’era qualcuno che diceva che avesse quel soprannome perché era nato il 30 Maggio, come Bakunin, qualcun altro che la sua famiglia venisse dalla città di Baku, ma tutti noi, io e gli altri del gruppo, sapevamo che il punto di contatto tra i due aveva una definizione ben precisa: anarchia.
Essere anarchici è molto semplice, implica il concetto di non riconoscere nessun tipo di autorità, da Proudhon ad oggi poco era cambiato, “La proprietà è una rapina” dicevano già in quegli anni e Baku (noi pochi amici potevamo usare questa abbreviazione) aveva approfittato abbondantemente di tutte le teorie proudhoniane, goldwiniane e di tutti i teorici anarchici, di cui lui si sentiva, ingiustificatamente, l’ultimo esponente massimo.
A tutti diceva di non aver mai lavorato “sotto padrone”, io sapevo che non era così, per un periodo si era dedicato a recensioni di musica jazz per un noto mensile, ma dopo meno di un mese era venuto alle mani col direttore.
Un’altra volta era entrato in una multinazionale in modo rocambolesco, sembrava andare tutto bene, ma dopo una discussione sui giorni di ferie che dovevano dargli (dopo soli due mesi di lavoro!) si era licenziato e così gli avevano dato la liquidazione in buoni pasto.
Io e Bakunin decidemmo di aprire una casa editrice quando lui compì i cinquant’anni, ancora oggi la motivazione non mi è ben chiara se non il fatto che l’anarchico se n’era venuto fuori con una frase del tipo “mi sono rotto le palle, voglio fare un po' di soldi, tanti soldi e andarmene una settimana a Parigi in una vasca idromassaggio con una ventenne!”
Io che ho sempre appoggiato le imprese folli e immotivate gli dissi subito di sì. E così aprimmo la MMC (Meravigliosi Manoscritti Controversi), nome di cui ancora oggi mi vergogno.
Naturalmente non diventammo mai dei Paperon de Paperoni, ma vivemmo delle situazioni assurde, ai limiti dell’incredibile: questa è la più folle che mi sia mai capitata.
IL MATERANO E LA FETTA DI TORTA
Non deve essere facile vivere e abitare in un posto famoso per i suoi sassi e solo da quei luoghi poteva arrivare la persona più stramba che ho mai incontrato: Mimmo, il materano.
Da Matera a Milano sono circa 900 chilometri e mai avremmo immaginato che si sarebbe fatto tutta quella strada per venire da noi di persona con il suo flexibus low coast, ma un giorno ce lo ritrovammo davanti.
Il primo impatto fu quello di qualcuno che ti parla in un’altra lingua, che anche se la conosci ad un primo impatto senza essere preparato ti viene da dire “Che cazzo è? Cosa mi sta dicendo?” poi di colpo rinvieni da quello svenimento temporaneo e pensi “Oh merda, mi sta parlando in inglese e io conosco l’inglese, l’ho studiato da tutta una vita!”
“Tu sei Max?”
“Si, e lui è Bakunin il mio socio”
“Piacere!”
“Piacere mio, è un onore per me conoscervi, vi sono grato nel più profondo per potermi ricevere”.
A parte che nessuno di noi due lo aspettava, sorridemmo con la classica espressione di misto compassione e rottura di palle.
Ma alla frase “Sono partito alle quattro del mattino, sono esattamente undici ore di viaggio, scusatemi se non sono in perfetta forma” capimmo che almeno mezz’ora della nostra vita gliele avremmo dovute dedicare.
Il materano avrà avuto un sessanta, sessantacinque anni portati male, vestito come i provinciali che vanno alle feste di paese negli anni cinquanta e con un odore fortissimo di dopo barba a cui le nostre narici dovettero abituarsi molto rapidamente.
Io e Baku avevamo una formula imprescindibile in base a chi ci trovavamo davanti. Se la persona ne valeva la pena, quindi ci faceva una buona impressione per le sue idee oppure era un’appartenente al genere femminile di nostro interesse, ci dirigevamo nel suo studio, una immensa biblioteca che incuteva timore a chiunque, se era qualcosa di diverso, lo portavamo in un salottino plen air, nel bel mezzo di una discarica, una dichiarazione per comunicare la nostra inadeguatezza.
Così ci sedemmo all’aperto tra cianfrusaglie e detriti vari, un divano e una poltrona marroncina con intorno un’atmosfera da film di Jim Jarmusch.
Appena disse la prima frase, capimmo tutto.
Naturalmente il libro di cui era venuto a parlarci e che lui avrebbe voluto trasformare in un film o una serie tv o uno spettacolo teatrale ma forse anche in un musical, non l’avevamo neanche aperto, il titolo ci era già bastato: “Una fetta di torta”.
Lui iniziò dicendo “Quello che avete letto nel libro è tutto vero, il mio protagonista incontra un extraterrestre, un alieno, un elohim, e questa cosa è capitata a me veramente nella realtà, anche se quella cagacazzi di mia moglie non ci crede”.
Questa successione di parole, di fatti, di vocali e consonanti messi a casaccio, ci fece subito capire due cose: avevamo davanti un matto, ma non doveva essere pericoloso, questo si capiva dalla frase sulla moglie, una donna che doveva essere stremata dai deliri di questo pazzo furioso.
Iniziò a parlarci di come una notte, naturalmente mentre sua moglie dormiva e lui scriveva (di notte come i più grandi scrittori della storia, parole sue), sentì bussare alla porta e gli apparve questo essere di un altro pianeta, appunto l’elohim, che gli raccontò tutta la storia dell’umanità, come eravamo nati e poi tutti i grandi misteri irrisolti e le più importanti vicende storiche da JFK alle torri gemelle, dalla rivoluzione francese al Covid, dal fatto che Freud e Beethoven erano due elohim mascherati e così via.
Mimmo non sapeva cosa dire al misterioso essere che si trovava davanti, se non nelle pause che l’alieno faceva, provava ad offrirgli qualcosa da mangiare: “Vuole mangiare una fetta di torta” a cui l’elohim non rispondeva guardandolo stranito, ma dopo poco proseguiva.
E lui così di tanto in tanto ci riprovava: “Vuole una fetta di torta? Vuole una fetta di torta?”
Io e Bakunin capimmo da subito che non dovevamo assolutamente guardarci in faccia, altrimenti saremmo esplosi dal ridergli in faccia, ma con la coda dell’occhio buttai per un istante lo sguardo verso di lui e lo vidi nelle mie stesse condizioni, con gli occhi arrossati dal trattenersi dal ridere e un po' di respiro affannato dalla situazione.
In alcuni passaggi, come quando ci disse che Armstrong era andato sulla luna ma era tornato giù un elohim a vedere cosa avevamo combinato dai T-rex ad oggi, oppure che Elvis scriveva i suoi testi che riceveva dallo spazio, ci portò allo stremo delle forze, ma tutto crollò ad una frase a cui non potemmo reggere.
Nessuno di noi due.
Ci iniziò a parlare della creazione dell’umanità e credeteci o no disse queste testuali parole: “Così Elohim mi spiegò, proprio a me Mimmo da Matera, la nascita dell’uomo e da quel giorno nacque ala razza umana con il primo uomo sulla terra, cioè Tarzan”.
Al sentire quell’ultimo nome, Bakunin, strabuzzò prima gli occhi per poi, come mai gli avevo sentito fare prima, lanciò un urlo liberatorio “Aaahhh!!!” e si lanciò dietro un albero a ridere come un matto in singulti al limite dell’umano.
Io restai lì, seduto davanti a Mimmo, ma gli ridevo sguaiatamente in faccia con tutte e due le mani che mi coprivano volto e bocca ma lui stava distruggendo anche me. C’è una cosa positiva dei matti, ed è che spesso non si rendono conto di ciò che gli accade intorno e infatti non era minimamente turbato dal mio evidente ridergli in faccia.
Intanto vedevo Baku sdraiato per terra che non smetteva di ridere e che quasi si contorceva.
Tarzan, il primo uomo della storia!
Che cosa meravigliosa e che genio folle doveva essere Mimmo.
Mi liberai di lui molto velocemente dicendogli che dovevo andare in ospedale per un controllo. E così lui ci salutò.
Fino alla sera io e Baku perdemmo il controllo dei nostri muscoli ogni tanto ci appariva il Tarzan di Johnny Weissmuller o quello di Christopher Lambert a strizzarci l’occhio e ripartiva il riso in modo irrefrenabile. “Vuole una fetta di torta?”, “Vuole una fetta di torta?”, “Vuole una fetta di torta?”
Poi dopo diversi mesi, dopo la chiusura della casa editrice, l’impresa più fallimentare delle nostre vita, ci ritrovammo in un pub irlandese e davanti ad una birra media rossa doppio malto e facemmo lo stesso identico pensiero:
“Ma se quello non fosse stato un pazzo e il primo uomo sulla terra fosse stato veramente Tarzan?”
Mimmo da Matera fu un meme, ma ancora non lo sapeva... :D
Il racconto a mio parere, ha un tono umoristico e surreale, che si manifesta attraverso la figura eccentrica di Mimmo da Matera e l'assurda affermazione che Tarzan sia stato il primo uomo.
Nel complesso, il racconto ha un potenziale comico e riflessivo ben bilanciato a mio avviso, forse la trama imbastita risulta un po' lunga. Comunque approfondendo i dettagli e i caratteri dei personaggi, potresti rendere la narrazione ancora più coinvolgente e memorabile. Come sempre un plauso 👏🤓
Complimenti Max, era tempo che non ridevo di gusto leggendo una storia ben scritta!!Davvero esilarante.Coltiva , ti prego , questo talento. Bravo, bravo , bravo! A proposito mi ha appena salutato uno che sembrava Tarzan.....
Beh che dire.... A volte mi hanno chiamato Mimmo e ho una interconnessione con il Materano.... Parlavi pensando a me? Comunque per le cose che stanno succedendo adesso, trovo il ritratto di Mimmo molto contemporaneo e veritiero se penso ad alcuni soggetti. Questo racconto mi insegna che, a volte, ridere è un'ottima escape strategy. D'altronde Freud affermava che certe cose puoi pensarle e dirle soltanto 'per scherzo'. Ben scritto!
Sei un mito! Con Mimmo mi hai fatto venire in mente Red Ronnie!!!
Sei davvero bravo a scrivere Max.
Un abbraccio