Esistono molteplici modi per far fiorire i propri talenti, spesso ci vengono rivelati in modo casuale, inaspettato e inverosimile e così era accaduto a me.
Avevo iniziato a fare l’attore in modo serio intorno ai 30 anni e ora ne avevo 43, all’attivo avevo solo qualche piccolo ruolo in film dimenticabili, qualche pubblicità da coprotagonista, qualche cortometraggio che non aveva visto nessuno e poco altro.
E poi un giorno, una domenica alle ore undici, alla messa delle undici, accadde.
Una donna dall’aspetto tutt’altro che piacevole, sguardo arcigno e capelli tinti di un arancione albicocca, mi guarda e mi chiede: “Lei sa leggere?”
Davanti a domande che non ci aspettiamo, ci sono due tipi di reazioni che ci vengono naturali: la prima è recepire quella domanda come se fosse in una lingua sconosciuta, non possiamo far altro che dire “non ho capito”, ma dentro di noi ci chiediamo: “Ma ho sentito bene? Mi ha fatto veramente quella domanda?”, “Ma che domanda è???”; la seconda reazione è rispondere nel modo più naturale possibile, per quanto i nostri neuroni siano in grado di fare.
Sarebbe stato identico se mi avessero domandato “Lei è vivo?”, “Lei è mai nato?”, “Lei respira?” o domande idiote di questo genere.
“Si, so leggere” le rispondo con una espressione di compatimento verso questa vecchia demente, mentre penso “avendo finito le scuole elementari…”, mi risponde “allora dovrebbe fare la seconda lettura” e mi consegna il foglietto della messa domenicale.
Così inizio a leggere, visto che so leggere e inizio a ripetere a memoria quanto c’è scritto sopra, sono circa sette righe di testo.
Dalla lettera di San Giacomo apostolo….
La comprensione del testo, mi avevano spiegato ai corsi di recitazione, è la base per poter dire bene qualsiasi testo, sia esso un monologo nato da parti intime o le riflessioni di un figlio nobile a cui è stato appena trucidato il padre dallo zio.
Così cerco di capire questo Giacomo cosa voleva dire.
Tra le varie parole mi colpisce questo: “non lasciarsi contaminare dal mondo, visitare gli orfani e le vedove”, parole belle, pregne di significato, come non ne sentivo da tempo.
Cosa vuol dire “non lasciarsi contaminare dal mondo”? Forzatamente devo dare una mia interpretazione, forse implica il fatto di non lasciare che ciò che siamo veramente, nel nostro profondo, venga intaccato dalla superficialità del mondo in cui viviamo, che la nostra libertà di scegliere, di essere, il famoso libero arbitrio di cui siamo portatori, non venga mai messo in discussione. Deve essere questo. E poi… Cosa ne so io di orfani e vedove?
Allora di vedove ne ho frequentate ben poche, ma so benissimo cosa comporti l’essere orfani, uno stato in cui prima o poi ci ritroviamo tutti, tardi se siamo fortunati.
Naturalmente la sfortuna è altra, quella classica dei periodi di guerra, padri che piangono i loro figli, la tragedia più grande e innaturale, mentre lo stato di orfanezza, anche se lo rifiutiamo è la naturale conseguenza della lenta andatura della vita dei più tra noi.
Tutti gli orfani hanno in comune una desolazione, una mancanza che non sono in grado di condividere, perché credono sia riservata solo a loro, non assimilabile ad altri, invece sono condizioni private molto simili, molto comuni e molto vicine. Ma siamo troppo stupidi per rendercene conto e per parlarne.
La mancanza di un padre e di una madre ti toglie qualsiasi riferimento e nel caso sia tu ad essere padre o madre ti carica di altre responsabilità, diventi tu l’anello terminale di questa catena dove niente ti può essere perdonato.
Credo di aver capito di cosa parli, così mi avvicino all’altare e lì parte un’altra, seconda, difficoltà, ma meglio fare un passo indietro.
Le chiese sono luoghi che mi hanno sempre affascinato, sia quelle classiche che quelle moderne e questo prescinde dall’essere credente o meno, aspetto che ho poco chiaro ancor oggi.
Ma ci sono alcuni momenti della messa che amo più di altri.
La predica del parroco di turno purtroppo non fa parte di queste, quasi sempre non riesco a concentrarmi su cosa sta dicendo e inizio a pensare ad altro, anzi ammetto che non capisco quasi niente di ciò che dice. I pensieri mi iniziano a fluttuare dalle cose più sconce a quelle più banali, tipo multe da pagare o come organizzare al meglio la settimana che sta per arrivare, oppure se la domenica prevede una partita del Milan, inizio a pensare a tutti i giocatori della formazione, dal portiere all’attaccante e oltre ai nomi, cerco di ricordarmi anche i numeri di maglia.
I momenti invece che preferisco sono quando si devono alzare le braccia per il “Padre nostro” a mò di abbraccio al padreterno e non tutti lo fanno ma io lo faccio, poi quando ci sono delle canzoni da cantare tutti insieme e non tutti lo fanno ma io lo faccio (quanto mi sarebbe piaciuto frequentare Woodstock!) e quando c’è da inginocchiarsi e anche qui non tutti lo fanno ma io lo faccio, sempre.
Poi c’è il dopo messa e lì mi ritrovo sempre ad accendere una candela e non so quanto sia giusto o meno, ma dedico dei miei pensieri prima a tutte le persone che non ci sono più e poi a quelli in vita che conosco e che amo di più.
È l’unico momento settimanale revival sentimentale.
“Signore dai un grosso abbraccio a mia nonna ics, ics, ics e anche a bla bla bla” e così via e poi “Signore fai star bene caio, tizio e sempronio…” cercando di volta in volta di ricordare sempre gli stessi immancabili e poi anche quelli da troppo tempo dimenticati, magari quelli che ho conosciuto poco, ma che un po' mi erano simpatici.
E torniamo alla seconda difficoltà, salire su un terreno sacro, accanto ad un altare e dire parole sacre porta con sé una grande responsabilità, ma la mia voglia innata di buttarmi senza rete da qualsiasi altezza non mi crea molta tensione al riguardo, si manifesta solo in una eccessiva velocità che non avrei voluto avere, ma riesco a buttarci dentro tutto, significati e significanti.
La signora arancione alla fine, quando ritorno a sedermi, si gira, mi guarda e mi dice “Bravo, che interpretasiun!”, io faccio finta di niente, guardo avanti.
All’uscita me la ritrovo davanti e mi fa una proposta che non avrei mai immaginato.
Mi dà una foto in mano con l’immagine di una donna anziana, una signora vestita di verde scuro con un cappello bordeaux, con la mano sinistra si tocca la testa, una bella nonna mi viene da pensare.
“Questa è Rosa, una mia cara amica appena morta, mercoledì prossimo faranno il funerale, le andrebbe di venire a fare l’orazione funebre? La posso pagare naturalmente”
Anche qui parte la seconda reazione, quella dettata dai neuroni che reagiscono e danno una risposta semplice e diretta, ma ci aggiungono un dettaglio che sorprende anche me.
“Ho bisogno di due cose: parlare per almeno un’ora con la persona che aveva più vicino” e qui metto una pausa, bella lunga.
L’uso delle pause nella comunicazione, dalla politica ai premi Oscar, sta alla base di trattati, tesi di lauree e saggi di persone illuminate, ma c’è solo una verità: il tempo.
Se azzecchi il tempo giusto della loro durata, al centesimo, il lavoro è fatto e una pausa diventa l’arma più potente dell’umanità.
Ci sono pause che richiedono due secondi e sono sufficienti, altre che devono essere 4 secondi, tre decimi e dodici centesimi, non un centesimo di più, né uno di meno.
Se indovini il tempo giusto, passa qualsiasi affermazione, anche la cagata più disarmante.
“Ho bisogno di due cose: parlare per almeno un’ora con la persona che aveva più vicino”, pausa di cinque secondi netti guardandola negli occhi “e di duemila euro”.
La posso pagare naturalmente, allora il prezzo lo faccio io, questo le mie stronze sinapsi avevano partorito!
Si erano ricordate di tutte le aule dove avevo fatto le più strampalate improvvisazioni, tutti i seminari dove avevo investito dei soldi in attesa dell’occasione giusta che forse era arrivata, di tutti i provini dove mi avevano detto “le faccio sapere” e poi chi li aveva mai sentiti più, di tutte le volte dove mi ero detto “Io sono perfetto per quella parte” e poi quella parte era andata all’incapace di turno, tutto e proprio tutto messo insieme e concentrato in quella pausa e in quella cifra, diciamolo venuta fuori un po' a cazzo, senza nessuna logica o riferimento economico.
Sicuramente l’orange woman si sarebbe aspettata un cinquanta o cento euro da darmi come mancetta, ma sono io che ho frequentato tre anni di accademia ed innumerevoli stages e il prezzo si decide in base a questo: non è in funzione del tempo in cui verrò impiegato, ma dagli anni di preparazione per arrivare a quel momento.
La pausa quando è perfetta, e quella lo era, ha con sé un potere di convincimento totale, avessi detto un milione di euro e se l’aranciosignora li avesse avuti, la risposta sarebbe stata la medesima.
“Mi sembra giusto, va bene, le darò duemila euro, in contanti al termine della funzione”.
Quello fu il mio primo incarico.
Adesso ho tra i 15 e i 20 funerali al mese dove vengo assunto regolarmente, il mio è un lavoro a tempo pieno, fatevi voi i vostri conti, il prezzo è rimasto invariato visto che mi ha portato fortuna, anche se purtroppo ho dovuto aprire la partita iva.
Quando ho spiegato questa mia professione al mio commercialista mi ha detto che non era la cosa più strana che aveva sentito, dovevo solo far attenzione a pagare con puntualità tutti gli F24 che mi avrebbe mandato.
Davvero belloo! Bravo come sempre.
L'ho fatto anch'io questo "lavoro", ma non uscivo a quel prezzo...ahahahah... Bel racconto!
Porca miseria, questo racconto è una bomba! Mi piacerebbe sapere se è tratto o meno da una storia vera... Ahahahahah, formidabile! :'D
Un ottimo piano B. ❤️
A dir poco geniale!!! 😂👍