LA LINGUA PERDUTA
- 17 feb
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Eloise si era ormai lasciata Milano alle spalle, Strasburgo era la sua nuova casa da oltre un anno.
Il suo lavoro da ricercatrice l’aveva portata in questa nuova città e tutto ciò che vedeva intorno, le piaceva.
Per chi decide nella vita di fare questo tipo di professione, poco conta, si potrebbe pensare, l’ambiente dove vivere, vista l’enorme quantità di ore spese nell’immersione totale dell’ossessione che si è scelta.
Anche quelle poche ore che non erano sonno o lavoro, la mente faticava a staccare.
In realtà è un pensiero sbagliato.
L’ambiente esterno, fosse anche solo per un cinque o sei per cento del tempo rimanente, fa sempre la differenza e tutto questo determina se sorridere ogni giorno o pensare continuamente al suicidio.
Una camera di decompressione ben attrezzata, con botteghe giuste, strade accoglienti e negozianti premurosi, fanno pendere l’ago della bilancia da una parte piuttosto che dall’altra.
Adorava le strade acciottolate di Strasburgo, i suoi edifici colorati, il profumo di pane appena sfornato che si mescolava al suono delle campane e molto altro. Tutto questo la faceva sentire parte di un insieme, non sola, nonostante la sua scelta di rimanere single.
La “Maison Kammerzel” o “Casa Kammerzel” come la chiamavano gli italiani era il suo posto del cuore.
Per anni aveva lavorato lì lo chef Guy-Pierre Baumann il creatore della choucroute ai tre pesci, un piatto che lei adorava.
Anche in questo Eloise non era proprio in linea con le abitudini della classica ricercatrice scientifica che studia gli animali, il vegetarianismo non le si addiceva.
Certo non avrebbe mai potuto mangiare gli animali che studiava, anche se non le era mai capitato un posto che servisse pappagalli!
Aveva letto che in Amazzonia alcune popolazioni se ne cibavano come fonte principale di proteine, per questo aveva deciso che quello era un paese che non avrebbe mai conosciuto.
Le era venuto naturale occuparsi di pappagalli, visto che l’ambito scientifico, la ricerca e gli animali le erano sempre interessati.
Naturalmente tutto ciò aveva una spiegazione, oltre alla sua naturale predisposizione nello studio delle specie animali.
A casa sua c’era sempre stato un pappagallo, sempre lo stesso: Ughetto, che poi dopo anni si era scoperto essere un’Ughetta, ma avevano continuato a chiamarla da maschio, alla faccia della parità di genere!
L’animale aveva vissuto per anni nel disinteresse totale della famiglia, ogni tanto suo padre e sua madre si incolpavano di non tenerlo troppo tempo libero, fuori dalla sua gabbia, di fargli, o meglio farle fare una vita pessima, ma dopo la discussione se ne dimenticavano letteralmente.
Eloise non aveva mai legato tanto con Ughetto, ma un giorno a sedici anni, dopo tutti quegli anni che i due avevano vissuto insieme le era scattato qualcosa.
Per chi non conosce la razza dei pappagalli cenerini (Psittacus heritacus), bisogna dire alcune cose.
In generale i pappagalli non ripetono, ma associano le parole a delle azioni, in questo quella razza specifica è grandiosa, molti studiosi paragonano la loro intelligenza a quella di un bambino di quattro anni.
Essendo animali completamente monogami, in natura formano un legame di coppia molto forte che dura tutta la vita. Quando vengono tenuti in casa, tendono a 'trasferire' questo legame su un solo componente della famiglia, che diventa il loro partner affettivo. Per Ughetto, era il padre Eloise.
Forse era questo il primo motivo per cui le due non avevano mai legato veramente e lei era anche cresciuta con tre gatti, dove aveva riposto tutto il suo amore animale.
Ma un giorno era accaduto qualcosa.
Prima di quel momento il loro rapporto si era limitato a darle qualche semino di tanto in tanto e a sorridere quando l’animale faceva dei balletti improbabili muovendo testa e collo con le sue musichette preferite, tipo “Don’t worry be happy” o il tema principale de “Il buono, il brutto e il cattivo”.
Era il 22 febbraio. Se lo annotò sul suo diario inseparabile.
Ughetto disse “Per favore” e lo disse in modo chiaro, pulito, senza altre possibili interpretazioni.
Il suo vocabolario era composta da circa una ventina di vocaboli o frasi.
Quando sentiva aprire il frigo diceva “è buono?”, quando aprivi l’armadio “ti vesti?”, la sera quando si spegneva la luce “buonanotte” e così via.
Eloise trasalì. Ughetto aveva detto 'Per favore'. Era una parola che non aveva mai sentito pronunciare da quel pappagallo. Era una parola chiara, detta con una voce sorprendentemente umana. Eloise rimase senza parole, il cuore che batteva forte nel petto.
Ma soprattutto questo le fece nascere una curiosità che prima non aveva mai avuto. Da quel giorno iniziò a dedicare all’animale diverse ore ogni giorno, voleva studiarlo, capire se era possibile che quella frase fosse nata in modo autonomo dall’animale e non indotta come tutto il resto.
E poi, per favore di cosa? Questo si chiedeva continuamente.
Le era sembrata una frase d’aiuto, detta da un essere di un altro pianeta e non poteva restare indifferente.
Con sua madre erano andate ad informarsi su cosa insegnassero alla facoltà di zoologia di Milano e capì che l’etologia, lo studio scientifico del comportamento animale, sarebbe stata la destinazione della sua vita.
I suoi genitori non avevano idea di cosa pensare; come tutti i genitori possono solo andare a pescare sulle loro esperienze qualcosa che possa essere utile al futuro dei propri figli e spesso questo significa sbagliare.
Così lasciarono Eloise libera di inseguire una sua aspirazione e sapevano benissimo che lei aveva sempre amato occuparsi di animali, quindi la scelta fu molto coerente e soprattutto fortunata.
Un po’ in tutto il mondo viene chiesto a poco più che bambini e a genitori di fare una scelta in un’età sbagliata, indirizzando un percorso di studi in maniera precoce, la madre aveva sempre pensato che avrebbe più avuto senso, avere un percorso unico per tutti gli studenti non fino alla fine della scuola media, ma fino ai 18 anni. Poi da lì si sarebbe dovuto scegliere qualcosa.
Uno stato che vuole uomini e donne forti, deve preparare al meglio i suoi cittadini e non lasciare la scelta a persone impreparate, giovani o non più giovani, come si tirano i dadi dentro un casinò.
In questo modo il rischio era troppo alto, tutto veniva lasciato in mano alla fortuna.
Ma Eloise aveva un istinto superiore, non di tutti i viventi.
E aveva capito che dietro a quelle due parole che aveva sentito, poteva nascondersi un mondo.
“Per favore” aveva detto quello strano essere grigio dalla coda rossa.
Iniziò a fare ricerche per conto suo, prima di iscriversi all’Università in cerca di una risposta.
Soprattutto era rimasta colpita da una notizia che aveva letto e che l’aveva affascinata.
In un villaggio africano, fatto di circa 200 donne e uomini, convivevano uomini e pappagalli da secoli e mai come in quell’armonica convivenza si era stabilito un legame così forte, ogni famiglia aveva il suo animale, ma non era tenuto in gabbie come capitava nel mondo occidentale, no, era libero di andarsene quando voleva. E proprio per questo erano gli animali a scegliere le famiglie, gli umani. Quelli che vivevano in coppia, naturalmente andavano insieme, altri singolarmente.
Ogni pappagallo imparava in media dalle 20 alle 50 parole da ogni famiglia e quando si ritrovavano tutti insieme davano vita ad un gran chiacchiericcio sull’altro degli alberi che sembrava evocare presenze invisibili; un vociare gigantesco fatto da migliaia di vocaboli.
Un giorno accadde qualcosa di totalmente inaspettato e tragico.
Il cielo si oscurò all'improvviso. Un'onda gigantesca si infranse sul villaggio, inghiottendo case e persone. Solo i pappagalli si salvarono, trovando rifugio sugli alberi più alti, testimoni unici di quella tragedia.
Non sopravvisse nemmeno una persona da quella giornata nefasta e da altre zone arrivarono i soccorsi, trovando un’ecatombe di adulti, anziani e bambini, tutti sommersi dal fango e da un destino malvagio.
Fu un lavoro lunghissimo andare a trovare tutti i corpi sommersi in quel pantano gigantesco e macabro, ma li trovarono tutti, dando vita ad una celebrazione funebre unica.
Durante quella funzione una massa informe volò sopra ciò che stava accadendo, come per dare un ultimo saluto.
Si racconta che tutti i pappagalli intonarono insieme “Kwa Heri” che significava addio nella lingua swahili.
Un fortissimo urlo all’unisono che rimbombò nella testa dei presenti per giorni e giorni.
Tutti restarono stupefatti e questa notizia raggiunse il mondo occidentale e soprattutto la comunità scientifica.
Eloise iniziò a pensare: “Ma se un giorno il genere umano facesse la stessa fine, oramai abbiamo dimostrato ampiamente la nostra incapacità nel meritare questo pianeta, chi resterà come testimone del nostro passaggio?”
La sua risposta fu quella breve frase, quel “per favore” pronunciato in modo inaspettato da un essere a cui si era abituata, assuefatta, al punto di non vederlo più.
Da quella frase sarebbero partite le sue ricerche e forse un giorno i testimoni del genere umano sarebbero stati quei piccoli esseri che accarezzano il cielo, tra i loro mille colori, ad urlare parole di una razza che avrebbe potuto vivere felice ma che si estinse per l’incapacità di dirsi l’un l’altro frasi semplici, come “grazie” o un semplice “per favore”.
Come mischiare scienza, antropologia e un pizzico di magia! Bravo, Max!