Sono sempre i personaggi secondari a fare la differenza.
Nei romanzi, nei film, nelle grandi tragedie shakespeariane, nel lavoro, negli scacchi, nelle squadre di calcio e potremmo azzardare addirittura nella vita in generale.
Sono loro che delineano i contorni degli accadimenti, che fissano i paletti dello slalom.
Adelmo era stato un bambino introverso, un ragazzo ambizioso e ora un uomo determinato e amava svegliarsi la mattina presto.
Si faceva un tè, tassativamente di marca Twinings e sfogliava la prima edizione del suo quotidiano preferito, che da anni trovava ad aspettarlo sullo zerbino di casa.
Viveva con i due figli, un maschio e una femmina e la domenica lasciava sempre loro quell’oretta in più di pigritudine, perfetta nei mesi invernali prima di alzarsi.
Intorno alle sette e mezza il suo cellulare, perennemente silenziato, si illuminò e vide illuminarsi il nome “Eddie”.
Quello non era un orario normale in cui ricevere telefonate, di solito nei giorni lavorativi non rispondeva mai prima delle nove, nove e trenta, dal momento in cui entrava in ufficio, figuriamoci la domenica.
Ma quello era Eddie e a lui bisognava rispondere. E così rispose.
Adelmo ed Eddie si conoscevano da un quarto di secolo, un bel pezzo. Quindici anni li separavano, ma chi se ne frega dell'età nei rapporti veri, anche se negli ultimi dieci anni si erano persi di vista.
Però si sentivano di tanto in tanto, si beccavano sulle loro due squadre del cuore, uno milanista e l’altro interista, oppure parlavano di cinema, un’altra loro passione che avevano in comune.
La seconda loro passione, la prima era il biliardo.
I due si erano conosciuti nella sala di via Tito Livio a Milano, alle soglie di Porta Romana, nello spazio che un tempo fu del glorioso “Cinema America” ed era lì che Eddie aveva preso il nome di Eddie, visto che non era il suo nome reale.
Tutti e due avevano un film cult, che naturalmente parlava del loro gioco preferito: “Lo spaccone”, “The Hustler” in originale.
Con la regia di Robert Rossen insieme ad un grandissimo Paul Newman, c’erano una inquieta e bellissima Piper Laurie e uno stronzissimo George C. Scott, un vero figlio di puttana, tre leggende di Hollywood.
Il protagonista, il personaggio di Newman, si chiamava “Eddie Felson” soprannominato “Eddie lo svelto” per questo Eddie venne soprannominato da Adelmo in quel modo, nel suo modo di giocare c’era poco studio, quasi tutto d’istinto, anche se a volte quell’essere “svelto” era solo frettolosità.
Oltre ai tre protagonisti principali, spiccava in un ruolo che poi divenne indimenticabile, un personaggio secondario, l’attore Jackie Gleason nel ruolo di Minnesota Fats, molti non sanno che Gleason era anche un grandissimo giocatore di biliardo, non solo un ottimo caratterista.
Il personaggio, ma in realtà anche l’attore che lo impersonava, aveva nel suo nome, quel “Fats” perché non era proprio longilineo nell’aspetto e così Adelmo venne soprannominato da Eddie proprio Minnesota Fats.
Cosa che a lui non è che piacesse particolarmente, visto che gli ricordava la sua “panzetta” che nel tempo sarebbe diventato sovrappeso per poi passare ad obesità ed ipertensione, ma Minnesota Fats era un personaggio talmente affascinante (e soprattutto uno straordinario giocatore di biliardo) che quel soprannome se lo fece piacere.
Adelmo non riusciva a ricordare quando si fossero realmente incontrati, quale era stato il momento preciso, in quel periodo la loro comitiva era composta da cinque elementi, oltre loro due c’erano Fede, detto Franz, Renzo, soprannominato “Il brillante” e Dario che chiamavano l’ambiguo.
Quasi tutti erano fondamentalmente amici di Adelmo, anche se Renzo e Dario erano molto amici tra di loro, ma tutti ruotavano intorno a lui e solo Eddie si azzardava a chiamarlo Minnesota Fats.
Erano un gruppo molto variegato, Franz era perennemente ubriaco, anche quando non toccava alcool da settimane, come diceva lui “aveva un po' di tracce di sangue nell’alcool”, Renzo era tutto donnine e champagne, era il brillantone del trio, andava in giro in Porsche, scarrozzava ragazze appena maggiorenni e sembrava avesse una unica ed evidente passione nella vita, diceva che se passava un giorno “senza farsene una” iniziavano a venirgli dei dolori, chissà poi dove…
L'Ambiguo, invece, era stato soprannominato così perché non si capiva mai da che parte stesse. Se a qualcuno piaceva una cosa, lui annuiva e diceva che gli era piaciuta anche a lui. Sembrava non avere nessuna opinione, nessuna passione, nessun legame sentimentale con nulla di ciò che conoscevamo, nessuna emozione vera, tutto sembrava fasullo. Tutto ambiguo.
Renzo, una volta, aveva fatto una battutaccia che ai giorni d’oggi verrebbe censurata e bannata ovunque: “Sai l’espressione non sei né carne, né pesce, a Dario mi sa che gli piace il pesce, ah ah ah!!”. Ma erano altri tempi e tra giovani maschi si poteva anche scherzare su una omosessualità latente, ma restava un pour parlez chiuso in un circolo ristretto, senza nessuna malizia o cattiveria, figlia di quegli anni molto più onesti e sinceri di tutto ciò che di ipocrita sarebbe seguito.
Dopo alcuni anni Dario si sposò, prima di Adelmo e dopo gli altri tre, ma questo non fu sufficiente per far cambiar loro idea su quella supposizione.
Ma il vero personaggio era Eddie. Il “personaggione” si potrebbe dire, uno di quelli che si ricordano a vita.
Lo vedevi ed eri intimorito, tanto era grosso e pieno di muscoli, aveva partecipato a diversi campionati italiani ed europei di culturismo, il suo miglior piazzamento fu un secondo posto agli europei di Strasburgo over 40 nel 1997.
Anche con i suoi vestiti da tutti i giorni, sembrava uscito da un fumetto, ma di quelli disegnati da un bambino di cinque anni, talmente le sue proporzioni erano debordanti.
Eddie aveva sempre avuto una educazione e una gentilezza difficili da trovare in un uomo di quell’aspetto, però aveva una fobia che Adelmo pensò per anni fosse uno scherzo, ma un giorno la vide accadere. Davanti ai suoi occhi.
Erano nella sala biliardi del leggendario vecchio gestore Walter Bologna, da molti definito “Te ghe na bela natura”, essendo l’intercalare più frequente che aveva, quando Adelmo vide Eddie paralizzarsi su due piedi e non muoversi più,
Chiamò l’amico e gli disse: “Digli di portarlo via, digli di portarlo via. Adesso, adesso. Subito”.
Adelmo rimase stupefatto, si era materializzata davanti a lui quella “cosa” che gli aveva raccontato, ma che pensava essere una sonora minchiata.
Vicino ai piedi dell’uomo più nerboruto che avrebbe mai conosciuto in tutta la sua vita, saltellava il più innocuo dei barboncini, un batuffolo bianco poco più grande di un cotton fiocc, che anche un bambino di meno di un anno avrebbe preso a calci nel culo, ma lui no.
Aveva la fobia dei cani piccoli.
Adelmo, che di cose strane ne aveva viste nella vita, capì da subito, dagli occhi terrorizzati di Eddie che era tutto vero e pur trovandosi nella situazione più assurda dell’universo, con la massima calma, disse alla proprietaria, una signora sessantenne un tantino rifatta: “Mi può spostare il cane per favore?” e così il “problema” venne quel giorno risolto.
I cani piccoli, aveva specificato, probabilmente con pastori tedeschi, alani, pittbull, questo non accadeva, ma non trovò mai il coraggio di chiedergli il motivo! Perché???
Dopo un po' quell’allegra compagnia si sfaldò, solo con Franz, suo amico dai tempi delle superiori, rimase in contatto, così restarono solo loro due ad andare a giocare a biliardo.
Eddie lo svelto e Minnesota Fats.
I due facevano sfide infinite a diversi giochi, palla 8, palla 9, ma era 125 il loro gioco preferito, una palla vale un punto, vince chi arrivava prima a 125, semplice.
Tutti giochi che si facevano negli States e da pochi anni anche in Italia in modo serio, per intenderci quelli con le quindici palle colorate e numerate.
Insieme fecero anche qualche gara, anche un campionato italiano, nessuno dei due vinse mai niente, non erano al livello dei più bravi, ma di tanto in tanto accadeva un qualcosa, scoccava una scintilla, che loro avevano denominato in questo modo: furore agonistico.
Quando “beccavano” quei momenti, chi aveva in mano la stecca, non sbagliava più un colpo, diventava il miglior giocatore del mondo ed era un’alchimia che accadeva solo tra loro due, con gli altri o quando si esercitavano da soli, erano al massimo due discreti giocatori, nemmeno buoni, ma in quei momenti tutto cambiava.
Dagli altri tavoli arrivavano spettatori a guardarli come falene attratte da una fiamma, si formavano a volte gruppi anche numerosi di appassionati, occhi incollati al verde del tavolo e bocche spalancate. Quello che vedevano li lasciava senza fiato: una danza di sfere bianche, un balletto perfetto dove ogni colpo era un capolavoro di precisione. Era come assistere a un'operazione chirurgica a cielo aperto, ma con bisturi e pinze sostituite da stecche e biglie.
Poi, di solito, quei momenti, che potevano durare anche diversi minuti, sfociavano nell’errore più grossolano, disgustando e facendo scappare chiunque stesse guardando.
Pur essendo amici, i due giocavano a soldi, nelle loro partite e a volte si “ballavano” anche un paio di centinaio di euri, ma era solo un mordente in più per dar loro uno stimolo, non è che i soldi fossero così importanti tra di loro.
Un giorno fecero il loro personale record, appuntamento alle 15 al solito locale e tra cedrate (nessuno prendeva alcolici durante le partite, erano due veri sportivi), toast, pause, caffè e altro conclusero alle 4 del mattino, tredici ore di fila!
Per fortuna il “Gran Galeone”, la pizzeria frequentata dai tassisti, chiudeva alle sei del mattino, naturalmente il giorno dopo si sarebbero ritrovati sfatti alla grande, al lavoro come due automi.
Durante le loro partite citavano battute del film, i due diventavano veramente Jackie Gleason e Paul Newman!
“Io sono il più forte che hai conosciuto, sono il più forte di tutti. Anche se mi batti resto il più forte”.
Oppure: “L’abbiamo ammazzata noi due, vero Bert?” E anche: “Io l’amavo e l’ho barattata con una partita!”.
Frasi che poco c’entravano con il contesto, era solo un modo di divertirsi tra di loro e intanto fiumi di ore che trascorrevano.
Solo nelle relazioni superficiali si conta ogni minuto. Quando l'incontro è vero, il tempo si scioglie, si perde di vista, l’orologio non esiste.
Questo è un parametro che tutti noi dovremmo avere nel valutare i rapporti e le persone che incontriamo nel nostro vagare: l’inconsistenza del tempo davanti al piacere della compagnia.
Adelmo ed Eddie non si frequentarono mai al di fuori delle sale di biliardo, forse ad eccezione di una pizzata una volta, ma entrambi avevano vissuto con la certezza che quei momenti passati insieme erano trascorsi con una persona a cui avevano voluto bene.
Entrambi nella vita avevano avuto altri tipi di amicizie, che avevano frequentato, conosciuto in profondità, persone che erano andate alle comunioni dei loro figli, diviso le vacanze, confidenti dei problemi dell’altro.
Eddie e Minnesota Fats si erano sempre visti reciprocamente come due personaggi secondari nella vita dell’altro, ma quei momenti che avevano vissuto insieme, erano stati a volte, l’essenza stessa della vita.
Il biliardo è una tragedia senza catarsi, ogni colpo è un’attesa, una sospensione nel tempo, dove l’anima del giocatore si perde in un labirinto di desideri e paure, è come una partita a scacchi ma senza re, senza corona, due alfieri che se le vogliono dare di santa ragione e solo uno può prevaricare sull’altro, non ci sono compromessi.
Poi, un giorno, avevano smesso di giocare a biliardo e non si erano più visti di, solo ogni tanto qualche telefonata.
“Ciao Eddie, come stai?” disse Adelmo rispondendo al telefono alle sette e mezza di una domenica mattina di dicembre, dopo circa dieci anni che non si vedevano
“Eh non tanto bene, ti farebbe piacere se ti lasciassi la mia stessa stecca da biliardo?” rispose con un filo di voce l’uomo dall’altra parte.
“Perché, mi dici questo?” chiese Adelmo.
“Mi hanno aumentato la morfina e spero almeno di arrivare a festeggiare il Natale con la mia famiglia” rispose l’uomo che un tempo era un fascio di muscoli imponente.
Adelmo sentì gelarsi il sangue, sapeva che l’altro aveva avuto dei grossi problemi di salute, era mancata la sua amata meravigliosa moglie, ma poi ne era uscito e questa telefonata proprio non se l’aspettava.
“Quando vuoi, puoi venire a prendertela, te la lascio volentieri” aggiunse ansimando.
“Io ti vengo a trovare e la stecca la prendo, ma la tengo da parte, chissà mai che guarisci e ci facciamo qualche altra partita, dei dottori non mi sono mai fidato, lo sai” sentenziò Adelmo.
“Eh ci vorrebbe un miracolo!” rispose dall’altro capo del telefono.
“Vengo giovedì, non mi morire prima che devo farmi un sacco di strada da dove vivo adesso” buttò lì per alleggerire Adelmo.
“Va bene, va bene, ci provo, ciao Fats” concluse Eddie.
Adelmo si era rinchiuso in cucina per non svegliare i suoi figli con quella chiamata, gli era piaciuta quella parola finale, come l’aveva chiamato ancora dopo anni, quel “Fats” , sapeva che l’aveva detto per farlo incazzare, ma gli era arrivato con una dolcezza inimmaginabile, quel voler scherzare con un abbraccio, anche ad un passo dalla fine.
Spostò la tenda per guardare il cielo, si chiese se quell’anno avesse nevicato o meno, ad Adelmo piacevano i Natali innevati, gli ricordavano le palle di neve tirate in faccia da bambini, un tempo lontano e pieno di felicità.
E fu allora che si ricordò quell’unica pizzata che avevano fatto insieme.
Eddie aveva preso una tonno e cipolla, ma aveva fatto una cosa strana, aveva spostato tutti gli ingredienti da una parte sola, lasciando deserta l’altra metà.
“Cerco sempre di bilanciare le proteine con i carboidrati, altrimenti prendo chili, come te, quella metà vuota, non la mangio”, così aveva detto quel giorno.
Quella frase lo fece sorridere, era anche quella un bel ricordo del suo caro amico.
Adesso doveva solo aspettare giovedì, nella speranza che quel giovedì sarebbe arrivato.
A volte quattro giorni possono essere un’infinità.
La sua mano si appoggiò al vetro della finestra.
E Disegnò una E.
E pensò.
“Perché hai aperto la finestra?
Per vedere che giornata è!
E’ come tutte le altre, vanno, vengono…”
Una delle loro battute preferite, del loro film preferito.
Mi hai commosso!
Quanti ricordi di gioventù mi sono riapparsi con questo racconto…
Film, sale da biliardo sparite, momenti anche goliardici tra amici ormai perduti, vuoi per età o per le circostanze della vita. Perduti come i punti al gioco del biliardo… senza un buon motivo.