Sette sconosciuti in una stanza.
Mi guardo intorno. Chi sono queste persone? Come sono finito qui?
C’è un odore strano dentro questo posto, non so identificarlo, ma l’ho già sentito, dolciastro e pungente.
Quattro uomini tra i quaranta e i cinquanta, un ragazzo nordafricano e una coppia sui settanta, circa. Io sono uno dei quattro.
Nessuno di noi parla, nessuno dice niente. Un silenzio opprimente che mi taglia il respiro.
Tutte le nostre ombre si muovono come fantasmi sulla parete, alcune mi sembrano non combaciare col movimento reale delle persone.
In che incubo sono finito? Sono certo di essere sveglio. Non sto dormendo.
Uno degli altri tre uomini, più o meno mio coetaneo, inizia a parlare all’orecchio del ragazzo tunisino, marocchino o egiziano, sarà il padre penso, l’avrà adottato.
Oppure è sposato con una donna straniera.
Sono veramente padre e figlio o c’è qualcosa di misterioso tra loro due?
Loro due si conoscono e gli altri?
Sicuramente anche la coppia sui settanta si conosce, mi sembrano marito e moglie, sembrano conoscersi dal linguaggio del corpo, ma hanno lo sguardo fisso in avanti sul muro, gli occhi sono vuoti e vitrei.
Ma io? E gli altri? Cosa ci facciamo qua?
Ci sono cinque poltrone arancioni ed una panca con due sedie di legno, il pavimento è di linoleum verde, quello scadente.
C’è qualcosa di strano nello sporco che si intravede per terra, sembra come se avessero pulito del sangue. Qualcuno è già stato in questo posto. Prima di noi sette e non è un buon segno, questo.
Il tempo si dilata, si contorce, si contrae, ma nessuno ancora parla.
La luce va via, restiamo al buio.
Buio.
Non è un nero totale, vedo delle silhouette, i contorni delle persone che ho appena scoperto.
Sono loro ma non sono VERAMENTE loro. C’è qualcosa di strano.
Sento il loro respiro affannato, nessuno ancora parla.
È una nostra scelta non parlare oppure NON POSSIAMO parlare?
Per chi come me ha visto più film e serie scadenti che di qualità, ho subito capito dove stavo andando a parare: un gruppo di sconosciuti si sveglia in un luogo inquietante, senza la più pallida idea di come ci siano finiti. Man mano che la storia procede scopriamo chi sono i personaggi. E si svela il meccanismo. Di solito questo accade, tutto già visto…
Chi sono queste persone qui con me?
Mi ricordo che una volta ho provato a cercare se esista un genere o un sottogenere cinematografico che definisca questo tipo di film, una ricerca vana, non riuscii a trovarlo.
Tra quelli più strani, mi ricordo che mi ero appuntato questi:
CHAMBARA: film di cappa e spada giapponesi
COMMEDIA RANCHERA: filone di commedie popolari in Messico dagli anni ‘30 agli anni ‘50
CINEMA QUINQUI: genere cinematografico tra il 1978 e il 1985 popolare in Spagna sulla delinquenza giovanile
DEAFMOVIE: film dove sono presenti sordi o muti e usano il linguaggio dei segni
HEIST MOVIE o CAPER MOVIE: film dove c’è un colpo grosso fatto da dei malviventi
SCREWBALL COMEDY: commedie americane degli anni quaranta e cinquanta
MELT MOVIE: sottogenere del body horror in cui lo scioglimento o la liquefazione di un corpo umano è centrale nella storia
Follia totale! Ce n’è davvero di tutti i gusti, ma del mio sottogenere, nessuna traccia, niente da fare, non esiste.
E allora decido di inventarlo io: STRAWATO MOVIES!
Acronimo di STRAnges WAking up TOgether! (Sconosciuti che si risvegliano insieme).
Quanti film ho visto di questo genere, anche una serie ricordo, “Person unknown” del 2010, tredici puntate, una bella serie, degli sconosciuti si svegliavano in un hotel, uno in ogni stanza, nessuno che si conosceva naturalmente, dopo qualche puntata si scopriva una presenza misteriosa che li pilotava e poi all’ultima puntata quando tutti stanno per uscire dalla città dove vivono, di colpo cadono e si addormentano di nuovo e si risvegliano in un sottomarino, così doveva partire la seconda stagione.
E poi …. cancellata!!! Noooo!!! 13 ore buttate via, nel cesso, senza capire cosa sarebbe successo!
Dove saranno finiti quei personaggi? Dove sono?
I film invece sono tanti da tutta la serie “Saw” a “The hunt” da “Escape the field” a “Cube il cubo”, e poi c’era un’altra serie “Siberia” anche questa dimenticata, ma geniale… ma ce ne saranno anche tantissimi che non ho visto, sicuramente!
Ma stavolta non è un film, ci sono io nel mezzo o forse è un film, uno “Strawato movies” e io sono tra i protagonisti, ma non mi ricordo nessun casting, nessun provino, e poi io mica faccio l’attore nella vita, la situazione deve essere reale e io ci sono finito dentro.
Chi ci ha portato qui? Quali sono le ultime cose che ricordo prima di essere finito qua?
Un vuoto, un buco nero nella mia mente.
Il ragazzo inizia a grattarsi la mano, un gesto ossessivo che mi incute un profondo disagio. Il suono delle sue unghie sulla pelle riecheggia nelle mie orecchie, come un graffio su una lavagna. Un suono amplificato a dismisura, come se stessi ascoltando attraverso un megafono puntato direttamente nel mio timpano.
CRRR CRRR CRRR.
Cos'è questo rumore? Perché lo sento così forte? Cosa ci hanno fatto?
Cosa mi hanno dato?
La luce tremola per un po' e poi va via ancora, le due persone più anziane iniziano a ridere, sembrano due bambini deficienti, due ritardati che sghignazzano, scorgo dalle ombre, le loro mani si toccano, intrecciandosi e districandosi in un rituale oscuro.
Quando la luce si riaccende, sento che stanno pregando, si guardano negli occhi.
Si prega solo in situazioni disperate, forse sì, forse no.
“Mi sa dire che ore sono?”
Una domanda inaspettata, improvvisa, questo mi sta chiedendo l’uomo accanto a me.
Allora possiamo parlare… quasi quasi ci provo anch’io!
Lui ha visto che al polso ho un orologio, oramai non li porta più nessuno, tutti guardano l’ora sul cellulare oggi, per questo me lo chiede. E noi non possiamo avere telefoni, inutile anche cercarlo.
Cosa faccio? Parlo? Posso farlo?
Vado.
“Sono le tre e quaranta”.
DI NOTTE.
Tre e quaranta non quindici e quaranta. Siamo di notte. Adesso lo so.
Cosa ci faccio qui io, DI NOTTE?
Nessuno riflette mai che in una stanza illuminata, senza finestre, il tempo non ha regole, va per conto suo: un ora può sembrare un’eternità e un paio di minuti possono sembrare diverse ore.
Tutto può sembrare alterato.
“Grazie”, mi risponde l’uomo.
“Prego”, quasi sottovoce rispondo io, per paura di una reazione sconsiderata dell’uomo.
Una delle regole degli STRAWATO MOVIES è questa: la presenza di un cattivo.
Che sia un serial killer, un genio del male o semplicemente un ricco viziato che si annoia, che si vuole divertire scommettendo su di noi, c'è sempre qualcuno che tira le fila.
E spesso è in mezzo agli sconosciuti che si risvegliano, un classico del genere.
Potrebbe essere che in questo gioco si possa chiedere di tutto, tranne il motivo per cui siamo qui, allora non dico niente. Non chiedo, non parlo.
Continuo a stare in silenzio, ma intanto i due più anziani e padre e figlio, di tanto in tanto, si scambiano delle parole. Non riesco a sentirle però.
Cosa si staranno dicendo? Hanno la mia stessa paura? O a loro è già capitato di stare in questo gioco infernale? Inizio a pensare a dimensioni parallele, altre dimensioni, un po' di tutto, ma poi desisto, troppo sforzo! Meglio soffermarsi sulla situazione, non volare con la fantasia.
Osserva i particolari. Guarda le piccole cose.
Ci deve essere qualcosa che ti può far capire. Resta lucido.
“La verità della storia, è nei dettagli” diceva lo scrittore Paul Auster.
Purtroppo davanti ad ogni citazione colta, viene fuori sempre la mia vera personalità, e subito mi viene in mente la canzone di Rose Villain, dall’ultimo Sanremo: “E non ho mai avuto paura del buio, ma di svegliarmi con accanto qualcuno” …
Ecco, io ce le ho entrambe! Paura del buio e da oggi di svegliarmi con accanto qualcuno. Soprattutto se sono sei persone che non ho mai visto prima!
È il buio la cosa che mi spaventa di più, forse devo mettermi a pregare anch’io!
Le prime due volte è durato poco, ma se durasse tanto? E se la luce non si riaccendesse più?
Cosa posso fare io?
Guarda i particolari della stanza. Concentrati sui dettagli. Non farti prendere dal panico.
Certo tutti possono saltarti addosso da un momento all’altro, questo può accadere, soprattutto i due anziani, li vedo chiaramente tirar fuori un coltello a serramanico e iniziare a tirare fendenti a tutti, soprattutto a me, un altro bagno di sangue, un’altra storia che finisce con qualche morto. Sento la voce della mia amica Sara che mi dice “Basta! Anche stavolta c’è qualcuno che muore!”
“Tè rutt i ball!” (Hai rotto le scatole, traduzione)
Ok, i due anziani restano tranquilli, sono fermi e sicuramente sono più agile di loro. Non possono avere la meglio su di me, anche se sono fuori forma ultimamente.
Allora mi alzo.
Cammino lentamente, per evitare di essere attaccato da uno degli altri sei mostri, oramai ho deciso che ognuno di loro può essere una minaccia, ma non lo faccio vedere.
Resta calmo. Resta calmo.
Mi muovo attaccato al muro, spostandomi dietro le persone sedute. Non posso lasciare che dietro di me ci sia qualcuno pronto a prendermi, a colpirmi. Il gioco deve andare avanti.
Vado verso la porta, c’è una fessura, si può vedere cosa c’è fuori da questo cubo di pareti bianche.
Stranamente non sembra chiusa, ma se nessuno di noi è uscito, è perché NON POSSIAMO USCIRE.
Mi avvicino, lentamente, molto lentamente.
Guardo e basta.
Dalla fessura intravedo un corridoio, con in fondo un estintore sulla parete di fronte.
Forse devo prenderlo, può essere un’arma. Deve essere mio!
E se fosse una trappola? Se il primo che lo tocca, è il primo a morire?
Ci sono delle grosse piastrellone rosse sui muri, hanno un significato?
E cosa sono quelle cornici sulle pareti? Sembrano dei piccoli quadri.
Li conto, ho la mania di contare sempre tutto, lo so.
DOC da conteggio o ripetizione, la chiamano. Disturbo ossessivo compulsivo di contare sempre le cose, ma si fottano quelli che hanno inventato ‘sti disturbi, li pagheranno a disturbo si sa, un tot al chilo, ognuno ha le sue manie e non mi rompano le balle.
C’è la moda di creare i disturbi negli ultimi anni! Gli specialisti!!!
Io conto e allora? La matematica mi è sempre piaciuta!
Conto gli attori che si schierano in fila a prendere gli applausi, le lettere che compongono alcune parole, le piastrelle quando sono in fila, le righe di un articolo di giornale e allora?
Ma guardatevi le vostre di manie!
Sono nove piccoli quadretti.
Allora noi siamo in sette, non possiamo essere noi, non possono essere le nostre facce, cosa può essere?
Forse è in quei quadretti la soluzione di questo mistero!
Perché non sono mai andato in una escape room! Mi sarebbe piaciuto così tanto, ma non l’ho mai fatto! Mi avrebbe aiutato o sarebbe stata una idiozia totale? Una baracconata da Luna Park!
Se esco da questo incubo mi riprometto di andare.
Se esco…
Rifletto. Non è il caso di uscire dalla stanza, se non lo fa nessuno, un motivo ci deve essere!
La donna settantenne mi guarda, i suoi occhi mi stanno dicendo qualcosa.
Forse ci ha già provato e NON DEVO uscire dalla stanza.
È dal suo interno che si risolve questo mistero. Decido di tornare a sedermi.
Mi siedo e rifletto.
E poi accade.
La luce va via per la terza volta, inghiottendoci in un’oscurità totale questa volta, ancora più angosciante.
Questa è la più lunga, dura un tempo indefinito, ho voglia di gridare, ma so di non poterlo fare, tutto finirebbe in una tragedia. Resto nel buio. In silenzio anch’io, come gli altri.
Questa volta le sagome non le vedo più.
È una tenebra totale, profonda come l’ultima notte sulla terra prima della fine del mondo.
Nel buio devo aggrapparmi a qualcosa per non impazzire, inizio a ripensare a quel corridoio.
Si sentiva qualche odore arrivare da lì?
Sì, come di candeggina, sembrava pulito, qualcuno doveva averlo pulito da poco.
CHI?
Mi è sembrato come di sentire dei passi provenire dal fondo, ma forse mi sbaglio, ho i sensi alterati, perché? Cosa mi hanno dato??? Chi è stato?
I nove quadretti cosa possono simboleggiare?
Nove modi di morire? È questa la fine che ci aspetta?
Ma che senso ha, siamo in sette e ci sono nove modi di morire?
Oppure sono nove chiavi da decifrare per uscire da questo incubo?
Le mattonelle rosse si possono spostare o sono fisse? Ci sono dei passaggi?
Mi perdo in tutte queste domande, che ciclicamente nascono e muoiono, mi rimbalzano nel cervello all’impazzata, trovano risposte e poi si riformulano, all’infinito, all’infinito.
E poi, nel buio più assoluto, sento il rumore più inaspettato che io possa immaginare.
Un rutto.
Potentissimo.
Osceno, disgustoso, fuori posto, fuori luogo, fuori di testa, fuori da qualsiasi regola di qualsiasi sceneggiatore strafatto di crack da giorni. Un rutto in questo contesto???
Come si fa in una situazione del genere anche solo immaginare che capiti?
Resto sbalordito, di più stupefatto! Sono senza fiato, sgomento.
La luce ritorna e ricordo tutto.
Tutto.
Non è la luce ad andare via, sono le mie palpebre che di tanto in tanto cadono dall’effetto dei farmaci. Un infermiere entra e dice il mio cognome, sì proprio il mio.
Mi alzo e lo seguo. Saluto gli altri, ho capito.
Ricordo come sono arrivato, sono in una sala d’attesa di un pronto soccorso, sono stato portato qui da un’ambulanza.
La situazione è sotto controllo, non ho niente di grave, la pressione mi era schizzata alle stelle, non so per quale motivo, lo stress dicono, ma non può essere solo quello.
La guardia medica al telefono mi ha detto di chiamare il 118 e così ho fatto, dopo una decina di minuti si sono presentati alla porta di casa mia. E poi, mi sono ritrovato qua.
Sull’ambulanza mi hanno dato un farmaco, non sono abituato a prendere farmaci, non ne prendo mai.
“È allergico a farmaci?” è la prima cosa che mi chiede la giovane dottoressa.
Poi mi fa rispiegare tutto, per la quarta volta, prima a quelli dell’ambulanza, poi all’accettazione, poi all’infermiera che mi ha fatto la flebo, adesso a lei.
Sembra come nei film quando ti arrestano, ti continuano a richiedere le stesse cose più volte, come si sono svolti i fatti, per vedere che tu non cada in contraddizione col tuo movente.
Ma che movente? Non stavo bene, santo Iddio!
Alla fine fanno controlli su controlli, pressione ancora alta, mi danno un farmaco per abbassarmela, non funziona, me ne danno un altro.
Aspetto.
Chissà per che cosa erano ricoverate le altre sei persone?
Esami del sangue, elettrocardiogramma, radiografia al torace, tutto negativo.
Dopo un’ora mi provano la pressione.
Adesso è perfetta. Va bene. Il secondo farmaco ha fatto il suo sporco lavoro.
Chiedo alla dottoressa “Ma da cosa è dipeso? Io non ho mai avuto la pressione alta?”
“Non si sa, a volte è semplicemente l’età!”
Ma come l’età!!! Ma che risposta è?
Ma tutta la medicina in duemila anni, milioni di ricerche con tanto di cavie e topolini bianchi, questa ha studiato per vent’anni per essere qua e ti dice L’ETA’!!!!
“Inscì sun buna anca mi de fa ‘l dutur” direbbe Sara. (Così sono brava anch’io di fare il dottore, traduzione).
Cosa gli devo dire davanti ad un’affermazione simile?
L’avrei voluta guardare negli occhi, la mia bella luminare, e con la freddezza di un serial killer dopo anni di esecuzioni e con la massima calma, avrei dovuto rispondergli: “L’età, un paio di coglioni!”
Ma si sa, è meglio non far girare le balle ai medici.
Saluto, esco e chiamo un taxi.
Nell’attesa ripenso alla stanza.
Nessuno riflette mai che in una stanza illuminata, senza finestre, il tempo non ha regole, va per conto suo: un ora può sembrare un’eternità e un paio di minuti possono sembrare diverse ore.
Tutto può sembrare alterato.
PARIGI 19 è arrivato, vado a casa.
L'artifizio prospettico è interessante, anche se alla fine lascia un po' come "Ragnarok"... noi ci VOGLIAMO immergere in storie assurde e paradossali, noi vogliamo SOGNARE... ed era tutto un sogno? No! Cioè sì... ma non poteva essere vero? Andare avanti? Io non vedo l'ora di scoprire cosa significa la carta jolly di "Alice in Borderland"! Conoscendo l'autore invece, una nota personale, mi fa piacere notare questa abilità nella scrittura: le descrizioni, le metafore, le allusioni... qui c'è un'abilità linguistica decisamente sopra la media, potenzialmente utilizzabile per prodotti più lunghi... sempre che lui lo voglia fare... Ah... ma i giovani di oggi, che già fanno fatica ad esprimere i propri pensieri con un linguaggio un poco articolato, che hanno visto i compagni…
Carissimo Max , hai raccontato un'esperienza da teatro dell'assurdo e talmente realistica , che accomuni tutti coloro che finiscono in un pronto soccorso di un qualsiasi ospedale italiano! Leggendolo mi ci sono ritrovato , visto che nel 2024 non ho disdegnato di presenziare a vario titolo nei pronto soccorso di alcuni ospedali del territorio Comasco. Le sensazioni e la lucida follia che permea il racconto sono di un "verismo apocalittico"e devo dire che Kafka non avrebbe saputo far di meglio. Come sempre il mio giudizio, se può valere qualcosa, è entusiasticamente positivo. Bravo e complimenti!!
Come saprai c’è un esercizio di improvvisazione su persone che senza sapere il perché si trovano in una stanza…
Bel racconto tra l’immaginario e la realtà.
Un racconto tra Lost e Saw! Per "fortuna" era l'ipertensione. Altro splendido contributo dove la descrizione del particolare è il racconto!
All'inizio ho subito pensato a: "The Cube", stessa atmosfera del famoso film di 'Vincenzo Natali'. Continuando con il racconto però, l'atmosfera si espande a ricordi di altri film visti ma dimenticati (ormai la memoria è quella che è). Senza dubbio a mio parere, il migliore dei racconti del buon Max letti fino ad oggi. Suggerirei di continuare su questo filone magari e alternandoli ad altri.