di Maria Grazia Porceddu
È The Ghost of Tom Joad di Bruce Springsteen a muovere l’Onda lunga di questo ultimo martedì di luglio. La canzone, inserita nell’album del 1995 è, a partire dal titolo, un omaggio a Tom Joad, protagonista del romanzo Furore (The Grapes of Wrath) del 1939, scritto da John Steinbeck e all’omonimo film del 1940 diretto da John Ford.
In questa settima uscita, ho pensato di compiere una piccola digressione di genere, puntando l’attenzione su The Boss, mostro sacro del rock, ma prendendo in esame una canzone folk, rivoluzionaria, dal messaggio quanto mai attuale e profondo. Quei messaggi di cui, a volte, solo la musica può farsi carico e interprete. Ed è questo il caso.
Intimista e dal profondo significato sociale, la canzone, come scrive lo stesso Springsteen nella sua biografia, fu “il frutto di dieci anni di dialogo interiore dopo il successo di Born in the USA, un dialogo incentrato su un solo interrogativo: qual è il ruolo che spetta all’uomo ricco?”
La risposta di Springsteen non ha bisogno di spiegazioni. Questa canzone parla da sé.
Traccia iniziale dell’omonimo album, The Ghost of Tom Joad fu accolta in maniera positiva dalla critica specializzata ma non raggiunse, in termini commerciali, i risultati registrati nel decennio precedente dal cantautore statunitense. Si piazzò all’undicesima posizione della classifica Billboard 200, nella top ten in due Paesi e nella top venti in altri cinque. La canzone venne premiata ai Grammy Awards 1997 come “Miglior album folk contemporaneo”. Fu doppio disco di platino in Italia, vendendo circa 200.000 copie in meno di due mesi.
In The Ghost of Tom Joad è palese la presenza del romanzo che ne determina persino il titolo. Tom Joad è il protagonista del libro di Steinbeck, ambientato negli anni Trenta del ventesimo secolo, durante la Grande Depressione. È la storia di una famiglia dell’Oklaoma costretta a lasciare la propria terra e la propria casa a causa della crisi economica affrontando la povertà, il razzismo e un sistema economico spietato e ingiusto. Considerato il grande romanzo americano, il libro ha lasciato una forte impronta nell’espressione artistica degli anni Novanta. The Grapes of Wrath, questo il titolo originale, in Italia è stato tradotto come Furore. Giunse dapprima durante il regime fascista, che aveva deciso di farlo uscire in funzione antiamericana, ma che lo censurò pesantemente. La lettura integrale arriverà nel 1962. Vincerà il Nobel.
Per quanto riguarda la canzone, l’io narrante si muove in una desolazione che è parte fondamentale del racconto, dove il fantasma di Tom Joad rappresenta un mezzo di contrasto all’ingiustizia e al sopruso. È uno spirito che contiene rabbia, furore, appunto, febbre di giustizia, ma che rivela anche un profondo senso di impotenza.
Furore è la rappresentazione nuda e cruda della realtà. The Boss sembra essere colpito da questa crudezza, per questo prende ispirazione dalla famiglia di Joad per narrare la verità americana degli anni Novanta. E così, in un’ottica universale, racconta la storia della sua terra, che tanto ama.
Sin dai primi versi della canzone, è chiaro l’intento di Springsteen di proporre un’America diversa, quella dimenticata da tutti e per farlo, utilizza lo stile country. Lasciarsi tutto alle spalle, fuggire da qualche parte da cui non si può tornare indietro, mentre stanno per arrivare gli elicotteri della pattuglia autostradale e la desolazione, l’incertezza di un futuro senza casa, né lavoro, né pace.
“Men walkin’ ‘long the railroad tracks
Goin’ someplace there’s no goin’ back
Highway patrol choppers comin’ up…”
…
“No home no job no peace no rest
The highway is alive tonight
But nobody’s kiddin’ nobody about…”
L’attesa, davanti al fuoco, del fantasma di Tom Joad e quel “mamma” che riporta alla figura materna centrale nel romanzo, quale punto di riferimento per la famiglia durante il lungo ed estenuante viaggio verso la California:
“I’m sittin’ down here in the campfire light
Waitin’ on the ghost of Tom Joad
Now Tom said “Mom”
Wherever there’s a cop beatin’ a guy
Wherever a hungry newborn baby cries
Where there’s a fight ‘gainst the blood
And hatred in the air
Look for me Mom I’ll be there...”
La breve introduzione con la fisarmonica sottende una malinconia, a tratti ruvida, poi meditata, che quando torna a danzare sulle note della fisarmonica evoca dolore e attese, rassegnazione e speranza. Un pezzo con cui Springsteen riprende lo stile country, come dicevo, aggiunge dei bassi dove necessario e si concentra sulla storia. L’album stesso racconta il mondo di questa canzone. Si intuisce sin dalle prime note che si tratta di un lavoro diverso dagli altri, realizzato quasi da solista e con toni acustici e folk.
Memorabile la sua ospitata, proprio con questo pezzo, al 46esimo Festival della canzone italiana. Il 20 febbraio 1996, Bruce Springsteen, nel momento più alto, quello dell’apertura, canta con voce e chitarra armonica una versione intensissima di The Ghost of Tom Joad.
Si dice che Springesteen non abbia mai letto il libro di Steinbeck, ma visto solo il film tratto dal suo romanzo. Comunque sia andata, oggi noi siamo qui, a raccontare una storia quanto mai attuale e una verità universale che vive nei volti disperati e speranzosi di tanti nuovi Tom Joad e di cui libro, film e canzone saranno sempre e comunque “grido” immortale.
E voi, conoscevate la storia di questo brano?
Che ne pensate?
Avete letto il romanzo?
Vi aspetto, come ogni volta, nei commenti.
E mi raccomando, sempre pronti alla prossima Onda Lunga… Stay rock and... metal!
Fonti consultate per l’articolo:
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