TRE BREVI RICORDI DI ARTY
- 10 feb
- Tempo di lettura: 9 min
Aggiornamento: 11 feb

Tutte le famiglie hanno almeno un parente matto
e ogni matto è matto a modo suo
Quando i genitori di Artemide, con un gesto che definire azzardato è eufemismo, optarono per un nome che in greco significa "tagliare l'aria mentre tiri una freccia", era chiaro che il destino aveva in serbo per lui una serie di situazioni... diciamo, "particolari". E poi, diciamocelo, Artemide è un nome che sta bene su una dea, non su un uomo!
Da bambino si divertiva a dire in giro che era il quarto dei moschettieri: Artemis, un gioco di parole che faceva ridere solo lui, come le barzellette assurde che raccontava. Ci metteva sul finale la sua risata unica, per invogliare chi ascoltava a farsi coinvolgere, purtroppo spesso non funzionava granché questa sua tecnica.
Ero un ragazzino quando i miei genitori, un giorno, decisero che la loro presenza nella mia vita era diventata...superflua. Un classico. Ma il destino, si sa, è un burlone, e così, al loro posto, mi ritrovai con lo zio Artemide. Un rimpiazzo decisamente sopra le righe, uno che mi ha fatto da padre a modo suo, con tutte le sue stranezze e le sue risate fuori tempo.
Lo chiamavamo Arty, lo zio matto.
I ricordi più belli con lui, li ho dai 12 ai 18 anni, sono tre, uno per ogni mia fascia d’età.
La formula uno
Io ho 12 anni e la Formula uno non mi è mai piaciuta.
Lo zio Arty invece l’ha sempre seguita, era un fanatico di questo sport, ci ho provato anch’io, ma mi sembrava una sorta di processione di auto che giravano in tondo, sempre sullo stesso percorso. Una noia mortale, peggio dell’omelia del prete la domenica.
Cosa devo aspettare? La partenza? Chi fa un incidente e viene scaraventato fuori dall’abitacolo? E quando accade?
Dopo il secondo giro ero già nauseato, ma lo osservo e penso: “cosa ci troverà lui?”
Ho sempre pensato che fosse una persona intelligente, bravo a scacchi e curioso di tante cose, per questo non mi capacito di questa sua insana passione.
“Chi è davanti, zio?”, “Alain Prost”, mi risponde.
“Lui è il più bravo perché è costante, non ha i numeri di Villeneuve o di Eddie Cheever, ma lui sul podio ci va sempre. Primo, secondo o terzo, gli altri vincono più gare, lui invece si accontenta anche del secondo posto ed è felice anche quando non vince, perché dà sempre il massimo. Questo è l’importante, dare sempre il massimo!”.
Questa era una delle sue massime, ma lui non è che proprio sia stato un’esuberante nella vita o uno che amava i rischi, ha sempre fatto l’impiegato. Artemide Panerosso, non proprio un eroe dei nostri tempi, direbbero nei libri di storia.
“Quest’anno ti farò un regalo speciale a Natale, non puoi immaginare cosa.”
Devo dire che i doni dello zio erano sempre quelli più particolari, probabilmente se li studiava per mesi, inaspettati, anche se nessuno riuscì mai a battere il regalo che mi fece per i miei 18 anni, ma anche quel regalo di Natale fu un sorpresone!
La mattina di Natale, mi alzo con i miei fratelli e ci precipitiamo dai regali sotto l’albero, individuo subito quello dello zio matto, la mia vera curiosità è proprio per quello, tanto so già cosa mi regaleranno i miei genitori, i miei fratelli, i nonni, ma il grande enigma è il suo.
Così me lo tengo alla fine, come quando mangio, il boccone migliore l’ho sempre messo da parte per il gran finale.
Che bel maglione, che bei jeans, ah bello il libro che volevo e adesso tocca a lui al pacco dello zio, tenuto per ultimo.
Solo con me aveva questa cura per i regali, ai miei fratelli ha sempre regalato cose banali, non mi sono mai chiesto il perché.
Il pacco blu e verde con fiocco giallo è ben fatto, i pacchetti li ha sempre saputi fare bene, purtroppo questa cosa non l’ho ereditata dalla sua frequentazione.
Lo apro et voilà!
Una tuta da pilota da formula 1!
Tutti restiamo in silenzio, il primo a parlare è naturalmente mio padre “Ve l’ho sempre detto, che quello è un’imbecille!”.
Modi un po’ diretti, ma effettivamente tutti pensiamo: e adesso quando la metto ‘sta tuta da formula 1!
Poi verbalizzo io: “Magari a Carnevale la metto!”, “Sì per carnevale è perfetta” dice mia madre per salvare Arty da altri aggettivi poco gentili. Lei ha sempre avuto un debole per lui, gli sono sempre piaciuti i fragili e lui ha dimostrato di esserlo in più occasioni, tanto geniale quanto debole di carattere.
Sposato con una donna di 18 anni più grande, è passato da una mamma all’altra, giusto per giustificare il suo essere cresciuto ma senza fare poi tanto sforzo.
Ripensandoci ancora adesso, che senso aveva quella tuta?
Forse cercava di farmi piacere qualcosa che anche a lui piaceva e in questo fu il perfetto presagio per il regalo che mi fece per i miei 18 anni…
Il problema fu che quella tuta, se la comprò anche lui, da quel punto di vista non sapeva cosa fosse la vergogna, così nacque quella barzelletta che per anni iniziò a raccontare Giacomo, il mio parrucchiere che era anche il suo barbiere.
“Lo vedo entrare bello sorridente con addosso una tuta della Ferrari e penso: Eh la madonna, ma che macchina avrà comprato! Una Lamborghini, un Porsche o chissà magari proprio una Ferrari, ma io non ho questa confidenza con lui, allora butto lo sguardo fuori, ma niente, non vedo macchine del genere parcheggiate in strada”.
“Allora penso gli faccio la barba, gli metto a posto i baffi e poi guardo dove va e così faccio. Lui esce, lo seguo da lontano e dietro l’angolo vedo una Fiat 127 tutta elaborata, con tanto di alettone, 12 fari davanti e tanti adesivi della Ferrari dietro.”
“Si gira, mi vede e lo saluto e lui mi fa il segno del pollice, come fanno i piloti nei box, prima di scendere in pista, ai loro meccanici. Sale in macchina e sento il rombo del motore più forte che ho mai sentito, Vroooom, Vroooom, un qualcosa di mostruoso e poi come un pazzo schizza via.”
Devo dire che ho sempre avuto paura ad andare in macchina con lui. Uno dei peggiori guidatori che io abbia mai provato!
Sul precipizio
Adesso invece ho 15 anni e mi ricordo che mio padre aveva un sonno molto, molto profondo, come un orso che va in letargo.
Noi abbiamo sempre avuto cani in famiglia, prima Wolf, poi Dick e infine Goan preso da mio fratello più piccolo.
Dick era un cane intelligentissimo, ma un po' "guastato" dalla fissa di mio padre per l'addestramento, per farlo diventare un vero cane da guardia. Così Dick si era trasformato in una specie di cane poliziotto, capace di riconoscere le persone, cosa che non tutti i cani sanno fare.
E un giorno cosa accade? Io, i miei fratelli e mia mamma siamo via in un luogo imprecisato, che non ricordo, e Arty doveva passare a trovare mio padre, in casa da solo.
Arty arriva sotto casa. Suona il citofono, ma niente. Suona di nuovo, ma ancora niente. Allora, preoccupatissimo, corre alla cabina telefonica più vicina a chiamare mio padre. Ma ancora niente, non risponde
Dentro di lui si forma prima un pensiero, poi una certezza: mio padre è in pericolo. "Deve salvarlo!” pensa, con un'aria da eroe. Ma cosa fare? Chiamare la polizia? No, mio padre odia le divise!
Arty decide di agire da solo. È arrivato il momento dell’azione, quello aspettato da anni. Hic et nunc! Con un lampo di genio (o forse di follia), va dalla vicina e le chiede se può passare dal suo terrazzo al nostro, camminando sulla ringhiera, sospeso nel vuoto al settimo piano. Un'impresa da far tremare i polsi, soprattutto per uno come Arty, che non era proprio un atleta!
Proprio in quell’occasione dimostra come mai farà in tutta la sua vita, la voglia di osare e il suo coraggio.
È sul terrazzo della vicina, scavalca e resta aggrappato all’esterno del terrazzo tenendosi ben saldo con le mani all’inferriata e inizia a fare i sei passi che dividono i due appartamenti, attaccato come una cozza su uno scoglio. È chiaro che se non guardi in basso, tutto diventa facile, ma io sapevo della sua fobia per l’altezza, gli altri no, per questo l’impresa per me è ancora più incredibile ed audace.
Fai sei passi e arriva nel nostro terrazzo.
In quegli anni avevamo l’aria condizionata che si attaccava a degli oblò di plastica messi al centro delle finestre e lui lo sa, con un pugno ben piazzato fa saltare l’oblò, infila la mano dentro, gira la maniglia della finestra ed entra.
Davanti trova lui, Dick, un pastore tedesco che lo fissa negli occhi, addestrato a fare la guardia, di casa, della macchina e del suo padrone. Ma questo è un cane speciale, con l’intelligenza nel riconoscere le persone e Arty lo sapeva benissimo chi fosse, spesso era lui che lo portava giù a sporcare, insieme a me. Facevamo il giro del palazzo, circa mezzo chilometro dove Dick faceva tutto il necessario e per nostra fortuna, in quegli anni, sacchettini e palette non esistevano, alla faccia di passanti e dei bambini che sarebbero poi arrivati.
Dick lo guarda e scodinzola. Lo zio matto lo accarezza e si avvicina a mio padre, gli mette un dito sotto il naso per sentire se respira.
Subito il mio vecchio si sveglia “Cosa fai? Sei impazzito?” gli dice, “Pensavo stessi male, non rispondevi da un’ora, allora sono andato dai vicini ho scavalcato e sono entrato, mi hai fatto preoccupare!”.
Mio padre prima lo guarda sbalordito, lo fissa in silenzio, poi pensa che deve tenere veramente a lui per fare un gesto simile e gli dà una pacca sulla spalla. Un gesto raro da parte sua, lui che atteggiamenti affettuosi non ne ha mai avuti, un gesto che dice tutto.
Eccoci adesso all’episodio clou, che non ha niente di sensazionale, ma essendo totalmente inaspettato e traumatico resterà per sempre come:
Il regalo dei miei 18 anni
Nella testa di mio zio, i miei 18 anni dovevano essere un rito di passaggio, come quelli delle tribù aborigene, dove i giovani guerrieri vengono mandati nella giungla a cacciare. Peccato che né io né lui avessimo mai avuto a che fare con la giungla!
Lo vedeva come il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, una fase che entrambi, purtroppo o per fortuna, non abbiamo mai conosciuto.
Ho 18 anni proprio oggi e da un po’ di tempo Arty continua a dirmi che il regalo per il mio compleanno mi stupirà, come niente prima.
E io inizio a pensare a cosa possa essere.
Un monopattino elettrico, oggetto futuristico per quegli anni, oppure un telescopio gigantesco capace di vedere costellazioni e pianeti come in un planetario, ma so benissimo che lui è oltre.
Queste cose sarebbero troppo banali o scontate per lui!
Passa a prendermi e dice a mia madre, “Lo riporto dopo, ciao!”
Siamo in macchina, sempre sulla famigerata 127 con la marmitta elaborata. “Devi pensare a qualcosa che ti piace tantissimo”.
Questa domanda mi spiazza. Che cosa mi piace tantissimo e che lui conosce?
“Su, dai prova ad indovinare!”, Ma non mi viene neanche mezza idea! “Non lo so zio, non ce la faccio”.
“Va bene, oggi sei pigro, non vuoi far lavorare l’immaginazione, ma in fondo è così ovvio.”
“Siamo arrivati, non guardare fuori cosa c’è, chiudi gli occhi che ti porto io” mi dice.
Obbedisco, ad Arty avrei dato la mia vita per come gli ho voluto bene, so che niente di male mi sarebbe potuto accadere e sono certo che qualcosa di epocale sia in arrivo.
Chiudo gli occhi, mi prende la mano, mi dice di far attenzione al marciapiede quando scendo dalla macchina, mi fa fare qualche passo al buio, sempre con gli occhi chiusi, portato da lui.
Poi sento suonare un campanello. Risponde, una porta si apre. Entriamo e non so dove sono.
“Eccoci, adesso puoi aprire gli occhi!
Li apro e capisco dove NON SONO.
In quei pochi passi nell’oscurità, avevo elaborato tutti i posti straordinari, dove avrei potuto essere.
Non sono in una galleria d’arte a vedere una mostra di Picasso, ma a Pablo sarebbe piaciuto essere dove sono io adesso.
Ci sono Guerniche, che nemmeno lui avrebbe immaginato.
Non sono in una delle stanze del Museo di Scienza Naturale e nemmeno nello zoo di Milano che esisteva un tempo, a tutti e due gli animali, leonesse, panterone e tigri sono sempre piaciute libere e non in gabbia.
Non sono neanche dentro un cinema prenotato solo per me, lo zio matto ha sempre saputo della mia passione per il cinema, ma non mi ha regalato un’anteprima riservata per me del mio attore preferito, il mitico Gene Hackman.
No, qui si recitano storie di un altro tipo.
Apro gli occhi e vedo pareti di videocassette porno, falli di gomma, donne gonfiabili mostruose e ridicole e la faccia ebete di Arty che mi sorride entusiasta!
“Ecco una cosa che ci piace tantissimo” dice sorridendo.
Ed io penso, mi sa che ha ragione mio padre, alle persone a cui vuoi del bene fai veramente fatica a vedere come sono.
E Arty era veramente un’idiota, portarmi in un sexy shop per il mio compleanno dei 18 anni, è stata la cosa più stupida e divertente che insieme abbiamo mai fatto!
La prima e ultima volta in cui ci sono entrato, purtroppo nessuno mi ci ha più riportato.
Che eroe! :D
😂😂😂